In queste settimane abbiamo provato a volere un po' bene all'Australia.
domenica 9 marzo 2008
Ngarrangkarni
Abbiamo cercato qualcosa di interessante nelle persone e nelle loro facce, qualcosa di sfizioso nel loro modo di vivere. Abbiamo cercato qualche immagine folgorante del paesaggio. Ma non l'abbiamo ancora trovata. Sarà che l'Australia ha una storia così recente, da sembrare un passato prossimo così poco originale; sarà che l'immigrazione degli ultimi 60 anni ha scalfito solo poco il massiccio blocco europeo della prima ora così orgogliosamente british da avere ancora sulle banconote l'effige della Regina Elisabetta. Solo a Melbourne, le comunità, soprattutto quelle asiatiche non mimetizzabili, sembrano la maggioranza; altrove si vede chiaramente l'effetto delle politiche razziste della "White Australia", la norma che a lungo ha imposto la selezione dei soli migranti inglesi o al massimo europei. Quello che in assoluto ci fa meno simpatia di questo paese è vedere cosa i coloni hanno fatto alla terra e ai suoi abitanti originari. I primi insediamenti costieri erano colonie penali che col tempo si sono arricchite di commercianti e avventurieri che arrivavano qui (si parla del 1800-1850, non del 1600 come in Sud America); si prendevano grandi pezzi di terra, con le buone (barattendola per due camicie e quattro picconi), o con le cattive (semplicemendo eliminando le tribù che vi abitavano); e iniziavano a disboscarla per farne pascolo per pecore e bovini. Hanno così trasformato il paesaggio di intere regioni. Il risultato oggi è che gran parte del territorio del Victoria, ma anche del New South Wales, assomiglia alla Gran Bretagna: colline erbose, proprietà delimitate da filari di alberi e boschetti. Quello che si intravede della natura originaria, le rocce, le spiagge selvagge, i pendii morbidi, qualche pezzo di foresta pluviale, ora parco nazionale, lascia immaginare un paese che dev'essere stato bellissimo e che ora sembra violato da una trasformazione così rapida. Gli aborigeni che abbiamo incontrato in città e quelli che abbiamo visto nei filmati dei musei, sembrano tutti un po' disadattati, cioè non adatti alla vita che è stata loro imposta. Non ne sappiamo molto della loro cultura, sembra solo molto diversa da qualunque altra ci sia capitato di incontrare. La loro mancanza di senso di proprietà della terra ha facilitato soprusi e leggi basate su principi assurdi come quello del "terra nullius" che dichiarava il territorio australiano "di nessuno", se non del colono che l'avesse disboscato e sfruttato. Per gli aborigeni la terra non apparteneva agli uomini, ma gli uomini appartenevano alla terra. Perché i luoghi, erano sacri in quanto dimora degli spiriti degli antenati e del loro sogno, il "ngarrangkarni", cioè del racconto delle origini che ogni luogo possiede. Dopo 50.000 anni di isolamento da altri gruppi umani, lo sconvolgimento del senso stesso della loro vita, seguito all'alterazione e all'uso del territorio, dev'essere stato così forte che non basteranno i "Sorry Day" (il giorno in cui gli "australiani" chiedono scusa agli aborigeni) per porvi rimedio. A tutto ciò si aggiunge la nostra impressione che in Australia non si possa semplicemente "guardare" e "stare", ma si debba per forza "fare" qualche cosa, e a noi "fare" non piace quasi per niente. Speriamo sempre che la prossima tappa sia quella che ci emozioni, che ci faccia incontrare persone interessanti, ma sempre più spesso succede che ci guardiamo un po' sconsolate e un "bah..." conclude la solita domanda muta.
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Etichette: Australia

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