Non si può parlare (male) dell'Australia senza aver visto Uluru.
E' come se anche i nativi avessero avuto, fin da tempi antichi, una visione "dall'alto" del loro immenso territorio e lo avessero raccontato, prima con incisioni rupestri e pitture corporali, e poi con le rappresentazioni artistiche più moderne.
Siamo atterrate su una terra rossa con sfumature incerte tra il viola e l'arancio. La ventata di aria bollente che ci ha tolto il fiato, e il nugolo di mosche implacabili, ci hanno subito confermato che eravamo arrivate proprio in uno dei deserti visti dall'alto.
Abbiamo noleggiato una macchina e, superato lo shock della guida a sinistra, siamo andate a Yulara. Yulara non è un paese, è una specie di resort con alberghi e ristoranti. E' stata costruita nel niente, proprio per accogliere i turisti in prossimità del sito più visitato d'Australia.
Della roccia non è facile dire qualcosa oltre quello che si vede. Sembra un enorme animale addormentato. Aspetti quasi che si sollevi e si scrolli di dosso il sottile strato roccioso che i milioni di anni hanno depositato. Nei giorni in cui siamo state a Uluru siamo solo riuscite a chiamarla "la creatura".
Nel Parco Nazionale Uluru-Kata Tjuta (l'altro massiccio roccioso caratterizzata da forme tonde, bello ma meno magico) c'è un Centro Culturale molto ben fatto e gestito dagli Anangu in cooperazione con il Governo Centrale, in cui viene raccontata la cultura della popolazione locale, il loro modo di sopravvivere nel deserto e le storie sacre di Uluru.
Ma non c'è bisogno di nessuna spiegazione sulla sacralità del luogo. E' sufficiente constatare la potenza magnetica che ha su di te. Non riesci a staccargli gli occhi di dosso (e neanche la macchina fotografica). E quando non lo puoi vedere, la sua presenza ineludibile finisce per calamitare anche i pensieri.
"La creatura", quasi a confermare di essere viva, cambia colore ogni momento: dall'arancio abbagliante dell'alba, al rosso mattone del tramonto, passando per il viola bluastro delle ore roventi. Vorresti star lì tutto il giorno a guardarla mutare. Ma il calore secco finisce per avere la meglio e ti impone delle pause.
Uluru ci ha sorprese e turbate, e ha confermato la nostra impressione: l'Australia, prima degli europei, doveva essere un posto magico e incantato. Ora che abbiamo visto battere il suo cuore rosso ne siamo certe.
giovedì 13 marzo 2008
Ha ragione Pier
Il volo da Melbourne ad Ayers Rock è stato di quelli panoramici ed entusiasmanti. Abbiamo visto deserti di tutti i colori e suggestive forme naturali; e abbiamo finalmente capito, meglio di qualunque lezione sulla sua simbologia, l'arte aborigena. Il disegno puntiforme, le forme circolari, quelle sinuose, i colori, sono tutti elementi dei paesaggi che abbiamo sorvolato.
Pubblicato alle
09:56
7
commenti

7 commenti:
Posta un commento