venerdì 28 marzo 2008

Mumbai

Come ve lo immaginate l'arrivo in una megalopoli indiana con più di 15 milioni di abitanti?

Con una folla di tassisti che aspetta fuori dall'aeroporto pronti a dare l'assalto?
E poi una strada lunga 30 km, larga sei corsie che ne incrocia altre altrettanto grandi, tutte costeggiate da baracche semibuie fatte di legno, cartone e altri materiali di scarto e punteggiate da lucine fioche fioche? Ed esseri umani, tanti, tanti, che camminano al buio lungo i bordi, o stanno seduti su muretti, o accovacciati per terra a cucinare, a mangiare o a fare chissà che? E fiumi di macchine a passo d'uomo, e motorini e biciclette e risciò, e poi camion, autobus e pedoni, tutti insieme, ognuno a intersecare il percorso degli altri, ognuno a conquistarsi qualche metro lungo la sua strada? E tutti che suonano il clacson come per annunciare di esserci anche loro, e chi non ha il clacson urla?
Bene. Nessun assalto dei tassisti. Siamo andate noi a cercare in un parcheggio buio quello che ci era stato assegnato allo sportello dei taxi prepagati.
Ma il resto c'era tutto.
E qualora ve lo stiate chiedendo, sì, c'erano anche un carretto trainato dal bue e un contadino che portava la sua vacca al guinzaglio.
Il tassista era un ragazzo azzimato, e per tutto il tragitto, durato 2 ore, non ci ha rivolto una parola nè uno sguardo; ogni tanto apriva lo sportello ed educatamente sputava fuori, come facevano tutti gli altri automobilisti e pedoni.
Per due ore non siamo riuscite a fare altro che guardare fuori dal finestrino, con gli occhi sbarrati, incapaci di scambiarci due parole. Ognuna sperando che quel viaggio finisse presto. Ognuna sperando che il ragazzo per bene non svoltasse in una strada buia di una di quelle baraccopoli che stavamo attraversando. Ogni tanto lungo la strada, ricompariva qualche lampione, qualche insegna commerciale e noi speravamo di essere finalmente arrivate in città, la città vera. Ma poi ricominciavano le baracche e la folla e l'illusione svaniva. Quando il tassista ci ha finalmente annunciato che eravamo a Colaba, il quartiere più turistico, quello con gli alberghi, avevamo appena superato l'ennesimo slum.
Nei due giorni seguenti, quello che abbiamo visto nel centro della città più moderna dell'India, ha confermato la prima impressione di miseria. Per le strade, ad ogni angolo, persone, soprattutto uomini, pochissime donne, molti affaccendati e moltissimi a non fare niente. L'aria è calda e appiccicosa d'umidità. Gli odori aspri si mescolano allo smog.
In molti angoli, gruppi familiari letteralmente "buttati" per strada, sdraiati, seduti, non a mendicare, sembra che vivano lì; intorno traffico frenetico, assordante. Rari i turisti. Gli edifici del centro, anche il più importante museo della città, sono molto malandati, con una patina di vecchio e di sporco; per le strade cumuli di terra, mattoni e calcinacci lasciano immaginare cantieri e lavori in corso, se non fosse che è tutto abbandonato e non si vedono operai.
Andremo via da qui senza aver visto le altre zone della città, senza avere avuto voglia di andare a curiosare negli altri quartieri.
E' la prima volta che ci succede da quando siamo partite.

Continua...

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