sabato 19 aprile 2008

Visita al tempio

L'hinduismo è una religione politeista. Le tre divinità principali sono Brahama il creatore, Visnu il preservatore incarnatosi numerose volte (per ogni incarnazione, una divinità), e Shiva il distruttore di demoni. Accanto a loro, mogli, figli, figliastri e animali; una tribù che, al confronto, quella di zia Tetta impallidisce.

Il tempio si trova nel centro della città, o meglio, la città si sviluppa intorno al tempio che è circondato da alte mura dipinte a strisce verticali bianche e rosse. Le strade intorno al luogo più famoso dell'India del sud, sono come altrove: un misto di macerie, terra battuta, pavimentazione incompleta, scoli coperti solo in parte da lastre di cemento, cumuli di rifiuti, risciò, moto, biciclette, mucche e capre che brucano nella spazzatura e nugoli di mosche. Intorno, esseri umani che fanno la loro vita: chi vende, chi compra, chi pompa l'acqua a mano e riempie le brocche, chi si fa tagliare i capelli. Molti camminano scalzi, le donne in sari sono sempre affaccendate, trasportano cesti, brocche, borse, catini ricolmi di terra, fasci di rami sulla testa; sembra che facciano tutto loro. Gli uomini sono spesso fermi in gruppetti a chiacchierare o a leggere il giornale, talvolta sdraiati in una striscia d'ombra sottile, schiacciano un pisolino, ogni tanto lavorano anche loro. Indossano il dothi, il gonnellino immacolato che slacciano e riallacciano continuamente, in un gesto ripetitivo.
Per entrare nel tempio dobbiamo toglierci le scarpe. Lasciare brillare i nostri sandaletti sulla catasta di polverose e consunte ciabattine infradito, ci sembra un invito irresistibile al furto. Noi, al posto loro, ce li prenderemmo. Quindi mettiamo le scarpe in un sacchetto di plastica e le infiliamo furtivamente nello zaino. Sospettiamo che il gesto sia un po' sacrilego, ma facciamo le gnorri. Prima di entrare, una preghiera a Shiva affinchè distrugga, oltre ai demoni, anche animali, funghi, bacilli e quant'altro dovessimo calpestare.
Superiamo l'antico portale di legno, sormontato da una torre colorata, e ci fanno passare su una pedana, sotto una specie di metal detector. Sembrano bastoni di plastica legati con lo scotch a formare un varco, nessun sentore di collegamenti elettrici, nessun bip, la Lodi giura di aver visto una lucina rossa, ma lei difende sempre gli indiani e non le crediamo. Un poliziotto chiede di aprire gli zaini, mette le mani dentro, simula un controllo, apre la bottiglietta dell'acqua e finge di annusarla. Poi la richiude. Guarda nel sacchetto con il cibo, in quello con le scarpe. Ha un'espressione schifata e ci fa passare con un gesto brusco.
Dentro, la vita è come fuori: un gran casino. Un atrio di colonne scolpite è affollato da bancarelle illuminate dai neon. Vendono l'occorrente per le offerte: immaginette sacre, collane di fiori, unguenti, polveri colorate, lumini a olio, nastri, pappette di riso avvolte in foglie di banano, e altri oggetti ameni: souvenir, giocattoli made in china, cartoline. I soffitti sono dipinti di vivaci colori con motivi floreali e scene sacre.
Le persone camminano chiacchierando, c'è chi si affretta, chi chiede l'elemosina, chi discute animosamente al cellulare, chi sta sdraiato per terra in un angolo ombroso. Difficile dire se stia solo riposando o sia uno dei disperati che si vedono buttati in terra lungo le strade. C'è gente in coda in attesa che vengano distribuiti cibo e acqua, e c'è chi il pasto se l'è portato da casa e fa un pic-nic sotto il colonnato, con tutta la famiglia raccolta in cerchio.
Il tempio è tutto un alternarsi di zone buie e cortili abbaglianti. Pensavamo che camminare a piedi nudi sul pavimento un po' unto, scansando resti di cibo, scarafaggi, sputi, cacate di mucche e pisciate di elefanti fosse già un'impresa complicata, ma non avevamo messo in conto l'attraversamento dei cortili sui lastroni di pietra arroventati dal sole.
Turisti non ce ne sono, con questo caldo i pochi che abbiamo visto in India saranno rintanati nelle piscine degli alberghi, beati loro. Noi siamo seguite da un vecchio che, parlando in tamil e con gesti a suo parere eloquenti, vorrebbe farci da guida e ci invita a seguirlo, nonostante i nostri reiterati rifiuti. Proviamo a ignorarlo. Lui ci prende per un braccio per portarci dove vuole, ci invita ad affrettare il passo. La tentazione di mandarlo a cacare è forte. La Lodi, curiosa, lo segue per un po', poi si stufa anche lei e pensa di liquidarlo dandogli dei soldi. Lui non demorde e la chiama ancora: "màdam! màdam!", poi solo "ma' ma'", le mostra una colonna sonante e altre curiosità che a suo parere dovrebbero interessare i turisti. Alla fine chiederà altri soldi, quelli ricevuti, come è costume in India, sembrano non bastare mai.
Nel cortile, ogni tanto si erge un tempio minore, spesso contrassegnato da un ghirigoro fatto da un tubo neon che emana luce colorata: è il nome della divinità in lingua tamil, ma sembra un'insegna da bar rockabilly anni '50. Intorno ai tempietti c'è sempre qualcuno piegato in due, ovviamente una donna, che spazza per terra con una scopa di frasche, senza manico. Non raccoglie mai, semplicemente sposta la polvere da qui a lì. Domani la sposterà da lì a qui. L'abbiamo visto fare ovunque, perfino lungo le strade di terra battuta e sulla spiaggia.
Nel buio i lumini accesi lasciano indovinare statue Chola (i pugliesi sappiano che si tratta di una dinastia indiana!) raffiguranti divinità e i resti delle offerte, le puja: ghirlande di fiori, resti di cibo, segni di unguenti gialli o rossi spalmati sulle statue o sui bassorilievi.
Un sacerdote davanti alla statua di Ganesh, il dio con la testa d'elefante, raccoglie le puja dai fedeli in coda, le avvicina alla statua e le restituisce, benedette. Riceve in cambio un'offerta. Non ha nessun segno distintivo, potrebbe essere uno dei vecchi che chiedono l'elemosina. L'odore che pervade tutto è un misto di incenso e gelsomino, ma anche di fiori appassiti, avanzi di cibo, burro irrancidito e sudore, il nostro. Con i 38 gradi e il 95% di umidità ci stiamo abituando ai rivoli che scorrono regolarmente sul nostro corpo.
Una vasca grande come una piscina serve per le abluzioni, che tentazione! Vi si accede attraverso scalinate e c'è sempre qualcuno che si sta lavando i piedi o si versa l'acqua in testa con le mani.
Statue portate in processione, annunciate da scampanii e cantilene, gente che si genuflette, segnandosi sulla fronte, sul petto, dietro le orecchie, alcuni si sdraiano per terra in segno di totale sottomissione, altri pregano a mani giunte, qualcuno tocca ripetutamente una statua e si bacia le dita, altri girano in cerchio intorno a un tabernacolo che contiene la rappresentazione dei pianeti, qualcuno lucida la statua della propria divinità prediletta. Nonostante le apparenti diversità, i rituali della fede qui non sono poi così diversi da quelli praticati in Italia.
Quando ci accorgiamo di essere passate per la terza volta davanti alla statua di Nandì, il toro veicolo di Shiva, capiamo che è il momento di andare via. Cerchiamo la porta giusta tra le cinque del tempio. Appena fuori, mentre ci infiliamo i sandali in bilico su un piede, si avvicinano nell'ordine: una donna con bambino in braccio che chiede soldi (no, sorry), un ragazzo che vende cartoline di dei (no, thank you), un altro che si propone di farci da guida nel tempio (ma come? siamo appena uscite), chi ci vuole vendere occhiali da sole (i nostri li abbiamo già sul naso), un altro vecchio vuole farci da guida (no), quindi ci vuole portare in un negozio di artigianato di un amico suo (no, thank you) e infine ci propone indian marjuana very good, very cheap (no, purtroppo no). Un signore di mezz'età ci offre con insistenza memory stick per macchine fotografiche (no, no, no!), quasi offeso dal rifiuto, scaracchia nell'orecchio di Anto. Nel dubbio che si sia trattato di un gesto di disprezzo, Anto si volta e gli risponde a tono, con uno scaracchio. Lui sembra stupito. Anche noi.
E' proprio vero: un viaggio in India ti trasforma sempre.

Continua...

11 commenti: