Per 5 giorni siamo state a Auckland.
I giri in città hanno confermato la prima impressione: tutto è pulito, i marciapiedi lucidi, le strade trafficate ma con moderazione, l'arredo urbano immacolato e funzionale. Tutto è esattamente lì dove deve stare per essere utile: le panchine dove ti vuoi sedere, i cestini dove hai bisogno che siano quando vuoi buttare qualcosa, le fontanelle dove hai sete, tu ancora non lo sai, ma l'urbanista ha ragionato per te. Ogni tanto, a uno dei pochi incroci senza semaforo, una scritta sul marciapiede invita a guardare bene la strada, prima di attraversare. I bus sono puntuali, comodi e silenziosi, i passeggeri in fila si avvicinano senza fretta e senza fretta l'autista emette il biglietto per ognuno, prende i soldi, dà il resto, sorride e dice "Thanks!", prima di ripartire, ovviamente senza fretta.
Il porto è tranquillo, silenzioso e affollato quel tanto che basta, l'acqua verde smeraldo, i ristoranti sulla banchina sono eleganti.
Il mercatino delle pulci del sabato sembra sedato, i ristoranti nella galleria commerciale affollati da persone che mangiano sotto luci al neon gialle e blu, il cibo contrassegnato dal sapore dolciastro degli edulcoranti, i tantissimi studenti asiatici, per lo più coreani e vietnamiti, la nuova immigrazione qualificata, sembrano perfettamente integrati nelle abitudini cittadine.
Anche la baia, la cosa più bella di questa città, sembra addomesticata. Frastagliata com'è, con baie, promontori, spiagge, isole, e quartieri residenziali affacciati sull'acqua, dovrebbe essere un bel miscuglione disordinato e invece sembra immobile e immutabile.
Per 5 giorni ci è sembrato di essere nel film "The Truman Show" dove tutto era perfetto, tanto perfetto che in realtà era finto. Auckland a noi è sembrata così. Non ci ha emozionate e ci ha fatto un po' di compassione. Vivere qui deve essere facile, ma noioso da morire.
Il tempo di organizzare l'arrivo a Sydney e siamo ripartite.
Abbiamo così ignorato, senza rimpianti, i consigli di viaggio di Violetta, una maori conosciuta a Rapa Nui, che ci aveva decantato le bellezze naturali di Rotorua e lasciato presagire una Nuova Zelanda vivace e chiacchierona come lei e il suo gruppo. Forse è così fuori dalla città, ma noi non lo sapremo mai. Ci è sembrato di capire che l'offerta di viaggio riguardasse soprattutto l'avventura. Come se i luoghi, anche se belli, non bastassero in sè per essere interessanti, ma valessero per quello che ci si può fare: kayaking, diving, climbing, surfing, biking, zorbing, jumping, rafting, canyoning, sledging, swoop, agrojet. Se non sapete di cosa si tratta, vi consoli sapere che anche noi abbiamo dovuto guardare le figure per capire come funzionassero molte di queste attrazioni da luna-park.
Prima di andar via siamo salite in cima alla Sky Tower, la torre più alta dell'emisfero sud. Solo da qui, da così lontano, ci è sembrato che la città avesse un suo fascino. Ma poi ci è toccato scendere.
giovedì 14 febbraio 2008
Il paese dei kiwi
Qui tutto è perfetto, ordinato, efficiente. Appena fuori dall'aeroporto un cartello informa che lì è vietato fumare, invitando a spostarsi sul marciapiede di fronte dove, invece, è consentito: c'è una panchina, perché fumare seduti è più comodo, e un portacenere.
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