martedì 24 giugno 2008

Naxos

Quando ci chiedevamo dove e come avremmo voluto concludere il nostro anno randagio avevamo pensato alla Grecia.

Dopo lunghe discussioni ci eravamo entrambe convinte che un'isola greca avrebbe potuto essere la tappa cuscinetto nel lungo e non facile ritorno. Un luogo così familiare e accogliente da farci sentire un po' a casa, ma ancora abbastanza sconosciuto da mantenere vivo lo spirito del viaggio. Quale immagine migliore di noi due in un baretto greco, davanti a una spiaggia bianca, mare azzurro, e tra un sorso e l'altro di Nescafè-frappè qualche riflessione sugli incredibili mesi appena trascorsi? Pensavamo di avvicinarci a casa e non sapevamo ancora che la casa sarebbe venuta qui a riprenderci. Pier, Betty, Davide e Arianna hanno deciso di raggiungerci. Ci siamo incontrati alle 4 di mattina ad Atene, noi stravolte dopo un lungo volo Tokyo-Londra e un Londra-Atene, in totale quasi 20 ore di viaggio, e loro in un hotel del Pireo pronti a imbarcarci tutti insieme verso Naxos. Rivedere i bambini, ma anche gli adulti, dopo tanti mesi di lontananza e molti collegamenti via Skype, è stato come ritrovarsi dopo pochi giorni. Siamo state subito risucchiate. Abbiamo passato qualche ora a conoscere Arianna che avevamo lasciato bambina di un anno e che abbiamo ritrovato trotterellante e caparbia, e ci siamo incantate a sentire i lunghi e articolati discorsi di Davide, che a 3 anni parlava poco e male e che ora ha una voglia matta di raccontare tutto ciò che fa e quello che pensa. Noi, dopo mesi di vagabondaggio, ci siamo ritrovate babsitter contente e un po' frastornate, sperimentando l'inedita sensazione di essere a casa senza essere a casa. Stiamo imparando di nuovo a fare castelli di sabbia e tuffi con la palla, a lanciare il freesbee e a inventare storie di gabbiani e anatroccoli che non si potranno mai raccontare in nessun blog.

Continua...

4 commenti:

mercoledì 11 giugno 2008

Sushi

e altre bontà.
(qualche dettaglio sulla Wiki)

Ci sono almeno quattro modi per mangiare sushi.
- AL RISTORANTE. Ci si siede al tavolo, o lungo un bancone, e si ordina il sushi e il sashimi scegliendo da un menu, spesso corredato da fotografie esplicative.
- TAKE AWAY. Si sceglie una vaschetta di sushi già confezionata o si compone secondo i propri gusti.
- AL SUSHI TRAIN. Tutti seduti su sgabelli, intorno al bancone su cui scorre un nastro che trasporta piattini con due o tre pezzi di sushi. Ogni piattino ha un prezzo riconoscibile dal colore. Sul banco, ogni postazione è dotata di: ciotole in cui versare la soia e intingere il boccone di sushi, scatole contenenti tè verde, zenzero e wasabi, e un rubinetto da cui esce acqua calda per il tè. Il cameriere alla fine conta i piattini e tu paghi di conseguenza.
- AL SUSHI TRAIN BUFFET. Funziona come il sushi train con qualche variante: ci sono anche vassoi con tempura e ognuno ha a disposizione un fornello che scalda una ciotola di brodo in cui ciascuno lascia bollire verdure, pezzi di carne o di pesce, pescato dal nastro trasportatore, per comporre una zuppa a piacimento. La caratteristica principale di questo tipo di ristoranti è che si paga un forfait e si ha a disposizione un tempo massimo (tipo un'ora e un quarto) per mangiare quanto si vuole. Poi si deve lasciare il posto. Impossibile fare diete o slow-food a queste condizioni e con tutto quel ben di dio che scorre davanti agli occhi.

Due momenti di gloria.
- Il sapore indimenticabile del tonno. I pezzi alti un centimetro si sciolgono tra la lingua e il palato. Masticare non serve.
- La vicina di posto al bancone che, dopo averci chiesto da dove veniamo, ci fa i complimenti per come usiamo bene le bacchette per mangiare il sushi. E non ci ha ancora visto mangiare i noodles (spaghetti)... in brodo.

Quasi mai i ristoranti hanno menu in inglese. Quasi mai i camerieri parlano inglese; quando va bene sanno dire una sola parola in inglese: window. E se credi che stiano parlando di Microsoft sbagli, perchè poi ti portano in strada, davanti alla loro vetrina in cui sono esposte fedeli riproduzioni in plastica dei piatti e tu ordini indicando la tua scelta. E' una specie di lotteria, a volte va bene e a volte no, ma è un modo per aguzzare la vista. Purtroppo è impossibile imparare i nomi delle pietanze e men che meno riconoscerne gli ingredienti.

Alcuni ristoranti hanno tavoli composti quasi interamente da un piano di metallo sotto cui viene acceso un fornello a gas, come quello della cucina di casa. Sulla piastra bollente vengono poi versati pezzi di carne e verdure saltate che si afferrano con le bacchette direttamente dal ripiano e si pucciano nelle salse.
Abbiamo scoperto che è un ottimo espediente per mantenere calda la pizza, che mangiata fredda fa schifo. Qui anche quella tenuta al caldo era da dimenticare.

In Giappone gli spaghetti si mangiano quasi solamente in brodo. I noodles sono di due tipi. Gli UDON, spaghettoni di farina di frumento chiari e spessi come i bucatini scotti. I SOBA, spaghettini di grano saraceno più scuri e sottili. Entrambi sono spesso serviti in ciotolone di brodo con verdure, carne o pesce.

Nella regione di Morioka, nel nord dell'isola principale, il piatto tipico è il wanko-soba. Più che una ricetta, un modo di mangiare. In una sala privata in stile giapponese (tatami, cuscini e tavolino basso) eravamo in sette: Anto, Felix, Noriko, Yuriko e Masako, più due cameriere. I wanko-soba sono noodles in brodo, che la cameriera, accompagnando il gesto con un'incitazione, versa nelle ciotole personali. Vanno poi insaporiti con verdure, alghe e salse e mangiati, quasi aspirati in un solo boccone. Appena una ciotola si svuota, la cameriera, che rimane tutto il tempo in piedi accanto a te, la riempie e ti incita a continuare e a fare in fretta fino a quando non trova la ciotola coperta, in segno di resa. Con dei fiammiferi si tiene il conto delle ciotole consumate e a fine serata si commentano i risultati di ciascuno.
Per la cronaca: Noriko ha battuto tutte con ben 70 wanko-soba; Antonia ha mantenuto alto il nome della famiglia, e del paese, piazzandosi seconda con 44 ciotoline; Felix, stremata dal ritmo e dalla posizione, ha coperto la sua ciotola dopo appena 14 accorati "Don Don!" e "Gian Gian!" ("Continua, continua!" e "Veloce, veloce!"), che la cameriera le ha rivolto, ora con cortesia, ora con tono quasi imperioso, versandole i soba.
Soka(*), un'esperienza da provare una volta nella vita.

(*) Soka = Certo

Continua...

13 commenti:

mercoledì 4 giugno 2008

Made in Japan

Siamo in Giappone perché sei anni fa abbiamo conosciuto Noriko, una giapponese che ama l'Italia e ha voluto imparare la lingua e la cucina italiana.

Noriko è venuta a prenderci all'aeroporto di Tokyo, e non ce lo aspettavamo proprio, visto che abita a Morioka, una città che dista da Tokyo 600 chilometri, poi ci ha portate a Ninomiya, un paesino residenziale a un'ora dalla capitale dove la sua amica Shizu ci ha ospitate per qualche giorno.
Alle 6 di pomeriggio la stazione centrale di Tokyo era affollata di pendolari e il battesimo sul treno stipato all'inverosimile è stato di quelli che non si dimenticano.
Tokyo, che abbiamo visitato con Noriko e Shizu da un bus turistico e dal traghetto, e il giorno dopo in autonomia, ha confermato e smentito allo stesso tempo tutti i nostri preconcetti sul Giappone. E' una città pulita, ordinata, frenetica, affollata eppure silenziosa, le persone camminano a passo svelto e un po' nevrotico, ma poi si fermano e sorridono. La zona centrale, pur non avendo nè attrattive turistiche nè fascino particolare, colpisce per le strade ampie, i negozi eleganti e un senso complessivo di ordine. Sembra che il benessere economico abbia consentito a questa città, e forse a tutto il paese, di svilupparsi con armonia zen; tutto è nuovo, pulito, essenziale, funzionale ed elegante. I taxi hanno sportelli automatici e merletti sui sedili, i tassisti, sempre cortesi, talvolta indossano guanti bianchi. Il colore prevalente in città è il grigio del cielo, dell'asfalto e dei marciapiedi, dei vetri e dell'acciaio dei grattacieli.
Potrebbe sembrare che il Giappone sia la Svizzera dell'Asia, ma non è così perché qui, per fortuna, ci sono i giapponesi. In questa settimana ce ne siamo innamorate. Ci piace la loro incredibile gentilezza, la disposizione al sorriso, il rispetto, l'essenzialità, la precisione e il senso dell'accoglienza. A Ninomiya siamo state letteralmente adottate da Noriko e Shizu. In un grande magazzino una commessa ci ha suggerito, sottovoce, di andare nel negozio al di là della strada che vendeva lo stesso articolo alla metà del prezzo. A Kyoto, mentre per strada sfogliavamo la guida, due donne, dopo averci chiesto se avevamo bisogno di aiuto o se volevamo andare da qualche parte, ci hanno ringraziate per aver scelto di visitare la loro città e si sono congedate con un inchino.
A proposito di inchini, quando abbiamo cominciato a ringraziarci anche tra di noi con una leggera inclinazione del busto in avanti e le mani giunte, ci siamo un po' preoccupate, ma la gentilezza e la scortesia sono contagiose. Non temete, torneremo le rusticone di sempre.
Di quello che abbiamo visto finora ci hanno colpito i bagni, la manualità e lo stile.
I water nei bagni pubblici e negli alberghi, oltre a essere perfettamente puliti, funzionali e sobri, sono tecnologici: tutti dotati di dispenser disinfettante, di asse riscaldabile, di finto scroscio dell'acqua, di bidet caldo a pressione regolabile. Insomma, al di là della facile ironia, è un'esperienza davvero interessante che consigliamo!
Bagni a parte, pensavamo di trovare ovunque livelli tecnologici elevatissimi, ma finora non è stato così. L'elettronica è dappertutto, la tecnologia è di quelle avanzate ma discrete, le città sono disseminate di macchinette automatiche e sistemi intelligenti ma molte attività umane prevedono ancora azioni manuali. La sobrietà degli accessori, la cura dei particolari, la predilezione per il legno rendono il minimalismo giapponese un po' retrò eppure modernissimo. Sembra che qui riescano a fare molto bene ogni cosa e di quello che loro non fanno sanno scegliere il meglio. Come all'Open Air Museum di Hakone, uno dei migliori musei di arte moderna che abbiamo mai visto, con opere di artisti europei selezionate con gusto ed esposte con intelligenza e sobrietà.
E' come se ai giapponesi riuscisse un'alchimia che altrove sembra impossibile: far coesistere antico e moderno, tecnologia e tradizione, automatismo e manualità. C'è da invidiarli e provare, una volta tanto, a imitarli.

Continua...

11 commenti: