venerdì 23 maggio 2008

Koh Samet

Siamo state dieci giorni a Koh Samet. E dovremmo raccontare della sabbia bianchissima e fina che scrocchia sotto i piedi; del mare di mille sfumature diverse e tutte miscugli di verde e di blu; degli uomini occidentali di tutte le età (dai 30 in su), accompagnati da thailandesi di tutte le età (dai 30 in giù), che fanno rabbia e più spesso schifo.

Ma quest'isola, a sole quattro ore di pullman da Bangkok, è la meta preferita dagli abitanti della capitale per i loro week-end, e forse proprio per questo meno battuta dal turismo internazionale. Ci siamo arrivate dopo aver acrobaticamente trasportato le nostre valigie a rotelle su un asse di legno largo 30 cm per raggiungere un barchino da pesca riadattato a ferry di linea, ormeggiato in terza fila alla fine di un molo un po' sconnesso e tremolante.
Koh Samet è fatta di spiagge. Non esiste un paese, c'è solo una strada che porta dal molo alle spiagge, costeggiata da qualche baracca che vende cibo, un piccolo supermercato, tre internet point e qualche negozio di souvenir. La vita si svolge sulle spiagge, lì ci sono i bungalow, i ristoranti, i bar, i baracchini ambulanti di frutta, di pollo alla brace, i venditori di sarong e le signore che fanno i massaggi al ritmo delle onde in sottofondo. Insomma, tutto quello che serve è lì, davanti al mare. E noi, dopo aver trottolato e trottolato mesi interi in giro per il mondo, in questi giorni di vacanza ci siamo sedute su due sdraio, sotto un ombrellone (ed era la prima volta in vita nostra che ci capitava) e abbiamo guardato un po' di Thailandia, e di Asia in generale, scorrere tra noi e il mare.
Abbiamo visto asiatici di tutti i tipi: coppie, famiglie, gruppi organizzati, gruppetti di amici; di tutti l'unico interesse, più ancora che godersi la spiaggia meravigliosa, sembrava quello di fotografarsi l'un l'altro, da soli, in gruppo, con autoscatto, con treppiedi. Cominciavano la mattina prima dell'alba e continuavano fino a notte. Per noi, che negli ultimi mesi abbiamo scattato migliaia di foto, è stato come guardarsi nello specchio.
Nel week-end, insieme ai thailandesi, sono arrivati anche gli occidentali che vivono a Bangkok: famiglie tutte uguali formate da quarantenni, biondi e magri, con mogli bionde e magre, bambini ovviamente biondi e magri e tate asiatiche more e paffute. Sono scesi da motoscafi-taxi, i ragazzi dei resort sono andati ad accoglierli come degli habituè, portando in spalla le loro valigie sulla spiaggia e salutando i bambini che già iniziavano a correre urlanti sul bagnasciuga. Loro, gli expat, si conoscevano tutti; si salutavano, si ritrovavano; gli uomini giocavano a bocce, le donne chiacchieravano sotto gli ombrelloni, le tate a riva giocavano con i bambini.
Tra loro e con i locali parlavano in inglese, all'interno del nucleo famigliare, invece, usavano le loro lingue di provenienza, li abbiamo sentiti parlare in inglese, francese, tedesco, e anche italiano. Abbiamo provato un po' d'invidia e un po' di fastidio per questa sorta di esilio privilegiato, ma soprattutto noia: era molto più divertente osservare gli asiatici che, con i loro costumini fantasiosi, o più spesso in maglietta e calzoncini, giocavano in acqua e sulla riva con grosse camere d'aria gonfiate. Lunedì mattina li abbiamo spiati andar via tutti. Dalle nostre sdraio si tornava a sentire solo il rumore del mare e noi potevamo ricominciare a leggere i tre libri usati (una rarità i libri in italiano) che, previdenti, avevamo raccattato su una bancarella di Bangkok.

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giovedì 8 maggio 2008

Bangkok

La tappa thailandese è iniziata sotto i migliori auspici.

L'attesa notturna nell'aeroporto di Mumbai, sulle comode poltrone-letto, è stata meno terribile di quanto avessimo temuto e la Cathay Pacific ci ha inaspettatamente regalato due poltrone in business class. Purtroppo il volo e' durato solo 3 ore: giusto il tempo di assaporare un vero viaggio da nababb.
Bangkok ci è sembrata immediatamente una città normale: dall'aeroporto un pullman ci ha portate a pochi passi dall'albergo dopo aver attraversato una normale periferia, con palazzoni e superstrade, poi la città moderna, grattacieli e metropolitana sopraelevata, infine il centro storico, viali alberati, canali e templi. La buona impressione è stata riconfermata dalla gentilezza quasi imbarazzante della proprietaria dell'ostello, "Madam", tutta inchini, mani giunte e thai-smile-english, cioe' l'inglese parlato a denti stretti senza interrompere il sorriso.
Le nostre giornate si stanno svolgendo secondo il ciclo: templi-cibo-massaggi-shopping.
I templi buddisti sono rivestiti da migliaia di piastrelline di ceramica colorata, tessere d'oro e specchi; ogni ingresso è sorvegliato da grandi statue bizzarre; nei cortili statue piu' piccole rappresentano animali mitologici e figure umane in esemplari posizioni yoga. L'espressione serena delle innumerevoli statue del Buddha è contagiosa e complessivamente questi templi predispongono al sorriso. Che sia questa l'essenza del buddismo? Approfondiremo.
Il tempio più sacro della Thailandia è Wat Phra Kaew e contiene la venerata statuetta del Buddha di smeraldo che si crede portatrice di grandi fortune; ma quello che a noi è piaciuto di più è Wat Pho, il più antico della città, famoso perché, oltre a una gigantesca statua di Buddha disteso, ospita la scuola ufficiale dei massaggi Thai ed e' questo il motivo per cui ci siamo tornate per la seconda volta nel giro di pochi giorni. Diciamolo subito: durante il massaggio Thai si gode poco, ma quando finisce, ci si sente una persona nuova. La pressione che il massaggiatore esercita con le mani, i gomiti, i piedi, le gambe, il mento è davvero forte e noi, sebbene abituate agli energici massaggi Shiatsu siamo rimaste tramortite da questa potenza. Così tanto, da aver deciso: massaggio un giorno sì, un giorno no. Non di più. Speriamo di riuscire a non esagerare.
Dalle somiglianze della tecnica e delle posizioni abbiamo avuto una conferma di cui non avevamo bisogno: Elvio è davvero bravo, tanto che per la prima mezz'ora abbiamo avuto l'impressione di essere nel soggiorno di casa. Poi il dolore ha preso il sopravvento e ci siamo ricordate degli altri venti esseri umani sofferenti e consenzienti come noi distesi sugli lettini vicini.
Del cibo thailandese abbiamo avuto assaggi diversi e disparati: siamo capitate in un ristorante lussuosissimo, con orchestra e cantante dal vivo sperimentando sapori davvero insoliti; alle bancarelle per strada abbiamo comprato i noodle saltati con verdure e gamberetti essiccati che abbiamo mangiato con gusto, vaschetta in una mano, forchetta nell'altra, sedute sul marciapiede (qui ci sono!); infine abbiamo pranzato nel frastuono assordante di una specie di mensa aziendale, insieme a qualche centinaio di frettolosi impiegati in pausa pranzo, scegliendo quasi a caso da menu scritti solo in thai.
E' strano trovarsi circondate da insegne e cartelli scritti in un alfabeto incomprensibile e da persone che solo raramente parlano inglese. Qui ci sta capitando spesso.

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giovedì 1 maggio 2008

Ha detto Henry Michaux

"In India, se non pregate avete sprecato il vostro viaggio. E' solo tempo regalato alle zanzare." Anche per noi, a poche ore dalla partenza, è arrivato il momento di fare qualche bilancio.

Innanzitutto la Lodi. E' stata compagna di viaggio ideale. Paziente com'è, è riuscita a stare con noi anche quando il caldo, la stanchezza e lo sconforto rendevano difficile qualunque prossimità. Ha indossato in fretta i panni da terza bab, e ora ci sembra già un po' strano dover continuare il viaggio senza di lei.
E poi l'India. Dai commenti pubblici e privati ai post precedenti abbiamo avuto l'impressione che molti di voi, certi che questo paese ci avrebbe rapite, colpite, affascinate, sconvolte, siano rimasti stupiti e increduli di fronte alle nostre parole di disagio. Abbiamo discusso a lungo, nelle torride serate indiane, sul perché questa comunicazione sia risultata tanto difficile.
C'è stata da parte nostra la difficoltà di dire pubblicamente tutto il brutto che abbiamo visto. Una specie di censura inconscia, mista a qualche retaggio di politically correct, ha evidentemente filtrato i pensieri; la traduzione in parole ha stemperato ancora di più la realtà.
Ma cosa abbiamo visto di così fastidioso? Anche qui, lunghe discussioni e posizioni diverse.
Per Felix l'inguardabile, l'indicibile è la povertà. E' quella che ci mette a disagio, è quella il motivo originario che ha reso questo paese così impraticabile per noi, così poco adatto a essere tappa di un viaggio come il nostro.
Anche per la Lodi, che da quando l'ha conosciuta a 20 anni, non ha mai smesso di amare l'India, il fattore chiave è la povertà, che il paese si sta faticosamente scrollando di dosso. I cambiamenti sociali che ha notato, un miglior tenore di vita, automobili, cellulari, e altri beni di consumo, ancora appannaggio solo di un'elite, sono l'espressione di uno sviluppo disordinato i cui effetti negativi ricadono sulla parte più povera della società.
Ad Anto la spiegazione della sola povertà non convince. L'India le è sembrato un paese in movimento, ma con eredità sociali e culturali che probabilmente legano le persone al proprio ineluttabile destino, e rendono difficili quei cambiamenti che a noi sembrano segnali di civiltà.
Abbiamo discusso per ore sul perché tutte le strade siano male asfaltate, senza un posto dove le persone possano camminare (i marciapiedi) e, sia in campagna che in città, costeggiate da rifiuti. E le persone sedute per terra? E quelli scalzi (ma col cellulare in mano)? E' povertà o un modo diverso di vivere? E cosa tiene le donne piegate in due per spazzare il bordo della strada con scopette senza manico? La povertà o qualche motivo a noi ignoto, o incomprensibile, giacché un semplice bastone di legno ridarebbbe loro la dignità della posizione eretta?
Parlare con gli indiani, per capirci di più non è stato facile. La difficoltà a parlare delle caste, la tendenza a compiacere gli stranieri, il tentativo di ricavarci qualcosa, il motto esemplificativo del nostro autista "Good for you, not good for me" a rimarcare tutte le differenze, hanno ostacolato una comprensione soddisfacente.
Partiamo senza una risposta alla domanda che ci ha portate qui: qual è la magia dell'India che affascina, o ha affascinato, tante persone? Noi, per sopravvivere, abbiamo dovuto fare una cosa che in questo viaggio mai avremmo creduto, ma che in India abbiamo visto fare a tanti turisti: ci siamo segregate nei resort di lusso con piscina (e aria condizionata), lasciando fuori dal cancello tutto il resto. Un piccolo fallimento personale.
Forse i pensieri che Felix ha trascritto in un giorno qualunque di questo viaggio in India possono aiutarvi a capire come ci siamo sentite.

"India, ovvero tutto quello che non avrei voluto vedere, ovvero tutto quello che ho sempre letto e non avevo mai visto, ovvero la povertà.
Guardo guardo guardo, poi non vedo niente di niente. Per giorni ho continuato a chiedermi ma dove sono i marciapiedi? Mi mancava la terra sotto ai piedi. Poi ho cercato quelli come me, quelli che vivono nei palazzi, negli appartamenti e non li ho trovati; dovunque vado sono circondata dalla maggioranza di poveri. Non so come altro chiamarli, vivono per terra, mangiano per terra, orinano e cagano per strada, esattamente come i cani. Sono a disagio? Sono turbata? Sono sorpresa? E' poco è poco. Sono un' analfabeta sociale. Quello che fino ad ora mi è servito per capire e interpretare la realtà qui non mi aiuta; penso ai diritti dell'uomo e del cittadino, all'educazione civica che ho pure insegnato, penso allo stato di diritto, alle conquiste sindacali. No, non c'è pensiero che tenga in piedi ciò che vedo. La religione si, eccome! Ogni cosa è religiosa! Pure il fango e i bimbi nudi per terra. Ho letto di templi straordinari, sono fruibili solo insieme a tutto il resto. Passaporto, certificazione febbre gialla, rupie, inglese non servono a niente, servono a poco, a consumare l'India. A me, forse, occorreva un cuore nuovo, un cuore dove non c'era scritto niente per scrivere in un nuovo alfabeto e leggere in una nuova lingua. Il mio attuale stato di civiltà è inadeguato, il mio sentimento religioso grande come seme di finocchio è ora un granulo di polvere di caffè. Gli uomini nei rifiuti, con la terra e gli animali e con le macchine e i rumori mi creano dei problemi consci, inconsci, subsociali tali da desiderare starci lontano. Odori, profumi, sapori cioè spezie e spazzature, umidità massima, zanzare potenzialmente fetenti, cosa metto ancora sull'altro piatto della bilancia? Ho finito le carte del mazzo? Cosa mi gioco? Mi è rimasta la saliva da deglutire, perchè il respiro va."

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