sabato 19 gennaio 2008

Tierra del Fuego

A Ushuaia ci siamo capitate per caso.

Non era una tappa prevista nel nostro itinerario. Avevamo resistito alla tentazione di arrivare fin qui, nella città più a sud, alla fine del mondo, a soli 1.000 Kilometri dall'Antartide, solo per dire "Ci siamo state".
Ma quando due ragazzi catalani, giovani, simpatici che, come noi avevano amato i paesaggi dell'Argentina del nord-ovest, ci hanno consigliato di non perdere Ushuaia e il bellissimo Parque Nacional Tierra del Fuego, abbiamo cambiato i nostri programmi. Ci siamo fatte un po' prendere la mano dall'idea che la luce, quanto più si è a sud, tanto più è speciale, e ci siamo venute.
Effettivamente la luce qui è tanto forte da durare fin quasi a mezzanotte e riuscire a oltrepassare le nuvole grigie e spesse, sempre in movimento per il vento forte.
La cittadina, vista da lontano, sembra anche carina. E' una striscia di casette basse rivestite di lamiera colorata, stretta tra il mare del Canale di Beagle,
le montagne ancora un po' innevate e un cielo cupo che nei giorni del nostro soggiorno è sempre stato tumultuoso. Ogni tanto il sole si crea un varco tra le nubi e tutto risplende, ma sono attimi. Il canale di Beagle, che sembra un lago, è diviso a metà da una linea immaginaria che limita il confine con il Cile. Le isole al di là del canale sono cilene, disabitate eccetto il piccolo villaggio di Puerto Williams. Navigare nel canale, a parte l'eco darwiniana, non è stato emozionante, forse per il vento freddo, forse per il cielo scuro. La terra è più suggestiva, con moderazione. Sono belle le torbiere su cui c'è una specie di erbetta rossa e marrone, belli gli alberi grandi e grigi e con le foglie piccoline, bella l'erba che sembra muschio tanto è bassa e attaccata al suolo. Il parco è troppo perfetto e sembra l'Alto Adige, non la fine del mondo.
Questa terra non ci è sembrata Argentina. L'Argentina forse finisce sullo stretto di Magellano, più a Nord del canale di Beagle, che separare il continente dalla Terra del Fuoco, un agglomerato di isole grandi e piccole.
A Ushuaia ci siamo sentite stordite. Forse la luce qui è davvero speciale e c'è fino a tardi, o forse a stare a testa in giù per tanto tempo "la capa gira", o la vicinanza all'Artartide, che qui ha fatto sentire tutto il suo fascino tentatore, ci ha scom-bussolate. Fatto sta che anche noi ci sentivamo strane come gli abitanti di Ushuaia che abbiamo visto spesso, per strada, parlare da soli, cantare, fischiare.
Come Chatwin, che ha scritto di viaggi e di Patagonia, e di cui sono più famosi i titoli che i libri, ognuna di noi, in qualche posto di questa Patagonia e a Ushuaia in particolare, tutti i giorni, si è chiesta "Che ci faccio qui".


2 commenti:

Pier ha detto...

"Che ci faccio qui" io me lo chiedo ogni mattina dopo aver timbrato il cartellino.

baraja ha detto...

Brave, sempre di più, a coinvolgerci nelle emozioni che si costruiscono, sì, con percorsi personali e privati ma anche con fatti, cose, atti compiuti da altri in passato con le loro emozioni e i loro bisogni e le loro miserie. Grazie per la babpedia, evocata e puntulmente arrivata. Leggere e guardare il blog è sempre più un viaggio(parallelo, intersecante, multisensoriale più e meglio che multimediale). Siete fatte per questo, care T&T, fate una bella cosa: non tornate, perdetevi nel mondo sconosciuto e continuate a perdervi tutta la miseria di quello che conoscete già.