In realtà si tratta di colline di 500 mt ricoperte di eucalipti che, grazie alla rifrazione della luce e all'umidità, danno il nome a questo altipiano dell'era triassica le cui formazioni rocciose erose dal vento e le alture arrotondate dai millenni ci hanno ricordato gli indimenticalbili paesaggi argentini. Ma questa è l'Australia, e ce l'hanno ricordato le "attrazioni": trenini che attraversano ripidamente la foresta, funivie con il pavimento trasparente per ammirare la sommità degli alberi giganteschi, folle rumorose di giapponesi e coreani in vacanza. Basta però avviarsi in uno dei numerosissimi sentieri per godersi in solitudine la foresta e il continuo vociare degli uccelli. C'è n'è di tutti i tipi e di tutti i versi. Fanno venir voglia di rispondere ai loro richiami, più facili da imitare dei suoni emessi dagli umani a queste latitudini. Ci siamo poi spostate lungo la costa est. I quasi 1000 km da Sydney a Brisbane sono una sequenza di foresta temperata e subtropicale interrotta ogni tanto da campi per il pascolo e piantagioni di mais e attraversati regolarmente da fiumi. Abbiamo percorso questo tratto della costa del New South Wales in bus insieme a decine di giovani turisti (i cosiddetti backpackers) attratti dalle famose spiagge da surf. Abbiamo spezzato il lungo viaggio fermandoci a Newcastle, Coffs Harbour e Byron Bay, le principali cittadine della zona. Questi centri "abitati" ci hanno dato spesso l'impressione di città fantasma. Le case basse, l'assenza di un centro come siamo solite intenderlo, i negozi che alle 17 improrogabilmente chiudono, l'abitudine degli abitanti di muoversi quasi esclusivamente in auto, fanno sì che nell' unica via centrale, fin dal pomeriggio non cammini più nessuno. Ci siamo spesso chieste dove fossero tutti dalle cinque in avanti. Probabilmente nelle loro casette allineate ordinatamente lungo strade pulite e deserte, con il prato davanti, il sentierino, il cancelletto di legno, il patio con la sedia di midollino. Eppure, anche camminando per queste strade, non abbiamo mai visto nessuno entrare e uscire e forte era l'impressione, nonostante le evidenze, che fossero disabitate. In queste cittadine i ritmi sono quelli della provincia, tutto si svolge pacatamente, lentamente. Siamo anni luce dalla rumorosa frenesia della città, qui tutti sembrano avere un passo lento, da vacanza. Quasi troppo perfino per noi, che notoriamente ce le prendiamo comoda. Felix ha commentato: "Ma come vanno lenti!". Una cosa l'abbiamo capita: il venerdì dalle 16,30 sono tutti nei pub. Capita spesso che i pub abbiano camere ai piani superiori, dev'essere una consuetudine che nasce dalla comodità, offerta ai clienti, di potersi fermare lì se non si è più in grado di tornarsene a casa con le proprie gambe. Un venerdì pomeriggio a Newcastle, dal balcone del nostro albergo sopra un pub elegante, abbiamo osservato come il locale si affollava, anche i posti in piedi nel cortile, erano quasi esauriti. Alcuni musicisti si sono alternati fino a mezzanotte e i clienti, di tutti i tipi ed età, si sono succeduti a ondate sempre più rumorose. Dai pub vicini arrivavano altre musiche e simili vocii. Infine le spiagge. Sono effettivamente molto belle, sabbiose, lunghe, quasi per niente popolate, tutte battute da onde costanti e punteggiate da surfisti che sembrano divertirsi un sacco. I nostri timidi bagni si sono svolti a riva, dove l'acqua raggiunge i polpacci, ma dove le onde ti sommergono, facendo sentire tutta loro potenza e la forza quasi irresistibile della risacca.
martedì 26 febbraio 2008
Da Blue Mountains a Byron Bay: viaggio in provincia
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martedì 19 febbraio 2008
Sydney
When we arrived at Sydney airport,
L'inglese ci ha proprio preso la mano.
Prima ancora delle notizie da Sydney, vorrete tutti sapere come diavolo ce la stiamo cavando con la lingua; perché qui dove siamo parlano tutti in inglese. E questo lo sapevamo. Ma parlano un inglese molto australiano. E anche questo potevamo immaginarlo. Ma quest'inglese australiano, qui lo parlano impietosamente veloce. E a questo punto, qualunque limite ha la sua pazienza(!).
Dopo aver ripetutamente chiesto, senza alcun risultato, di parlare più lentamente, Anto ha adottato una tecnica che al momento sembra funzionare: parlare molto molto lentamente, quasi sillabando le parole (al diavolo il perfetto accento british). Gli interlocutori allora iniziano a rallentare pure loro. Probabilmente pensano che abbia problemi fonetici o, più ancora, psichici. Ma che importa, l'obiettivo è raggiunto. Questo sistema non funziona con i giovani. I ventenni sono indifferenti e, anche di fronte all'evidenza di non essere stati capiti, riescono a ripetere 4 o 5 volte la stessa frase alla stessa velocità e con la stessa cadenza. Ma avete mai sentito parlare i loro coetanei italiani?
Nei casi più disperati, se l'interlocutore che ha domandato qualcosa di incomprensibile è un addetto alla vendita rispondiamo "No, thank you", se invece ci ha rivolto una domanda cortese in un contesto non commerciale, sorridiamo e diciamo "Yeah".
Felix, invece, ha impiegato quattro giorni per superare la paralisi da shock linguistico. Lei, per non sbagliare, non parlava proprio più, con nessuno, in nessuna lingua. Ora si è ripresa, continua a non parlare in inglese, ma è tornata a sorridere.
Sydney è una bella città, grande e con tante anime: la city, Chinatown, i quartieri ricchi con casette vittoriane, le zone residenziali. E' vivace, un po' frenetica, piena di turisti. Ma la cosa che salta subito all'occhio è la capacità di integrare i resti urbani più antichi, sebbene la città sia molto recente (fondata alla fine del '700 come colonia penale), con il moderno, il modernissimo, senza mai trascurare il fatto che gli spazi urbani sono fatti per essere vissuti.
Sono riusciti a recuperare e a rendere godibili aree tipicamente degradate, come i numerosi ex-porti commerciali. Fa impressione camminare sulla riva di un porticciolo orlato di palme e ristoranti e accorgerti, senza provare fastidio, che sopra di te c'è il cavalcavia di uno snodo autostradale urbano, e più in là un trenino monorotaia che passa su un ponte pedonale e fiancheggia i grattacieli degli uffici. Qui questo scenario ha una sua armonia.
La città si affaccia su una baia con decine di promontori e golfi (qui vi fate un'idea), ci si muove in battello, come in laguna, spesso le abitazioni hanno il loro pontile e le barche a vela sono ormeggiate in ogni insenatura o sfrecciano con le vele sempre gonfie. Qui non abbiamo mai sentito il flap-flap della bonaccia mediterranea che gli amici velisti ben conoscono.
In qualunque punto della baia ti trovi, non puoi evitare di puntare lo sguardo su altre vele, quelle dell'Opera House, una costruzione che a distanza di cinquant'anni dalla sua progettazione, è ancora stupefacente. L'interno, bellissimo e all'avanguardia per l'acustica delle sale da concerto e la funzionalità dei teatri, non regge il confronto con l'emozione di guardare a bocca aperta e naso in su questa sorta di modernissima e laica cattedrale gotica.
La nostra solita caccia all'alloggio anche questa volta è stata funestata da due eventi di portata internazionale: il capodanno cinese che qui, in virtù della grande e integrata comunità, prevede festeggiamenti che durano un mese e richiamano turisti e artisti dalla Cina e non solo; e il più grande festival gay-lesbico del mondo che dura anch'esso un mese intero e, dopo settimane di cinema, teatro, arte e altro ancora, termina con la grande Parade del Mardi Gras. Conclusione: alloggi difficili da trovare e prezzi alle stelle. Soluzione: ci fermiano a Sydney un po' meno di quanto avremmo desiderato e ci perdiamo la spettacolare parata.
A mitigare la delusione, la speranza che lì dove andremo, il clima sia più felice e ci regali qualche giornata di cielo azzurro, dopo sette giorni di nuvoloni, qualche scroscio e fulminee schiarite.
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giovedì 14 febbraio 2008
Il paese dei kiwi
Per 5 giorni siamo state a Auckland.
I giri in città hanno confermato la prima impressione: tutto è pulito, i marciapiedi lucidi, le strade trafficate ma con moderazione, l'arredo urbano immacolato e funzionale. Tutto è esattamente lì dove deve stare per essere utile: le panchine dove ti vuoi sedere, i cestini dove hai bisogno che siano quando vuoi buttare qualcosa, le fontanelle dove hai sete, tu ancora non lo sai, ma l'urbanista ha ragionato per te. Ogni tanto, a uno dei pochi incroci senza semaforo, una scritta sul marciapiede invita a guardare bene la strada, prima di attraversare. I bus sono puntuali, comodi e silenziosi, i passeggeri in fila si avvicinano senza fretta e senza fretta l'autista emette il biglietto per ognuno, prende i soldi, dà il resto, sorride e dice "Thanks!", prima di ripartire, ovviamente senza fretta.
Il porto è tranquillo, silenzioso e affollato quel tanto che basta, l'acqua verde smeraldo, i ristoranti sulla banchina sono eleganti.
Il mercatino delle pulci del sabato sembra sedato, i ristoranti nella galleria commerciale affollati da persone che mangiano sotto luci al neon gialle e blu, il cibo contrassegnato dal sapore dolciastro degli edulcoranti, i tantissimi studenti asiatici, per lo più coreani e vietnamiti, la nuova immigrazione qualificata, sembrano perfettamente integrati nelle abitudini cittadine.
Anche la baia, la cosa più bella di questa città, sembra addomesticata. Frastagliata com'è, con baie, promontori, spiagge, isole, e quartieri residenziali affacciati sull'acqua, dovrebbe essere un bel miscuglione disordinato e invece sembra immobile e immutabile.
Per 5 giorni ci è sembrato di essere nel film "The Truman Show" dove tutto era perfetto, tanto perfetto che in realtà era finto. Auckland a noi è sembrata così. Non ci ha emozionate e ci ha fatto un po' di compassione. Vivere qui deve essere facile, ma noioso da morire.
Il tempo di organizzare l'arrivo a Sydney e siamo ripartite.
Abbiamo così ignorato, senza rimpianti, i consigli di viaggio di Violetta, una maori conosciuta a Rapa Nui, che ci aveva decantato le bellezze naturali di Rotorua e lasciato presagire una Nuova Zelanda vivace e chiacchierona come lei e il suo gruppo. Forse è così fuori dalla città, ma noi non lo sapremo mai. Ci è sembrato di capire che l'offerta di viaggio riguardasse soprattutto l'avventura. Come se i luoghi, anche se belli, non bastassero in sè per essere interessanti, ma valessero per quello che ci si può fare: kayaking, diving, climbing, surfing, biking, zorbing, jumping, rafting, canyoning, sledging, swoop, agrojet. Se non sapete di cosa si tratta, vi consoli sapere che anche noi abbiamo dovuto guardare le figure per capire come funzionassero molte di queste attrazioni da luna-park.
Prima di andar via siamo salite in cima alla Sky Tower, la torre più alta dell'emisfero sud. Solo da qui, da così lontano, ci è sembrato che la città avesse un suo fascino. Ma poi ci è toccato scendere.
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domenica 10 febbraio 2008
Tapati
Durante la settimana in cui siamo state a Rapa Nui, si è inaugurato il Tapati 2008,
Funziona così: ci sono tre ragazze candidate per essere nominate "Reina del Tapati" ma, a differenza dei nostri concorsi di bellezza, qui la vincitrice viene premiata per l'abilità sua, e soprattutto del suo clan, nel mantenere vive le tradizioni Rapa Nui.
Praticamente i membri delle famiglie si sfidano in alcune "competencias" come la pittura corporale (Takona), il racconto di storie e leggende (Rui), la discesa da una collina su zattere fatte con tronchi di banani (Haka Pei) e i balli tipici.
Durante le due settimane della festa, tutto il paese si schiera per una o per l'altra candidata partecipando alle gare e a un gigantesco curanto (una sorta di barbecue tradizionale).
Il Tapati è un modo intelligente per mantenere vive le tradizioni e legare i giovani alle loro radici.
Nei tric e trac c'è una breve sintesi di cosa abbiamo visto.
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lunedì 4 febbraio 2008
Rapa Nui
Quando immaginiamo un'isola, almeno a noi due è successo, mettiamo insieme una sequenza di stereotipi. La pensiamo sperduta, isolata, quasi deserta, un po' bruciata dal sole, ventilata e calda, con le scogliere battute fragorosamente dal mare, che è ovviamente di un blu molto intenso, e poi ancora, silenziosa, e con il rumore delle onde in sottofondo, un po' vulcanica e inquietante, ma con una spiaggia di sabbia bianca e palme, con animali selvatici e persone anche, uomini con facce da pirati eppure ospitali.
Quest'isola è un triangolo di terra, il cui lato più lungo misura non più di 25 km, ai vertici tre vulcani che con le loro eruzioni hanno creato l'isola stessa. Dalla loro sommità si riesce a vedere quasi tutta l'isola e il mare che la circonda da ogni lato, oltre ai laghi affollati di canne all'interno dei crateri.
C'è un solo centro abitato, Hanga Roa, dove vivono meno di 4000 persone, il resto è pianura disabitata mossa da tante collinette vulcaniche.
I cavalli sembrano i veri abitanti di questa campagna, ce ne sono dappertutto e sembrano liberi, li vedi pascolare nei campi, lungo le strade, nei cortili delle case. Ogni tanto un uomo li conduce in gruppo, più spesso sembrano conoscere la strada per ritirarsi da soli. Abbiamo visto spesso ragazzi a cavallo per le strade di Hanga Roa; a qualche angolo, ragazzini sul muretto con motorini e cavalli parcheggiati accanto.
Altra presenza costante: i cani che siamo abituate a vedere domestici o randagi, qui semplicemente vivono nel centro abitato, vicini agli esseri umani, ma in autonomia. Seguono chiunque cammini, rincorrono abbaianti le automobili e soprattutto giocano tra di loro.
L'attrazione principale dell'isola sono i moai: grandi sculture scavate direttamente nella roccia alle pendici di uno dei vulcani e trasportate, non si sa bene come, su grandi altari cerimoniali (gli ahu) disseminati lungo la costa. Gli ahu sono a loro volta delle opere d'arte. Sono grandi piattaforme rettangolari su tre livelli; i primi due composti da pietre rotonde allineate a delimitare l'area tabù, il terzo, di massi squadrati e sovrapposti, forma la base su cui venivano issati i moai.
Gli studiosi cercano ancora di capire se i moai fossero omaggi alle divinità ancestrali, monumenti funerari, o espressione di potere delle varie tribù dell'isola, visto che hanno tratti somatici diversi tra loro.
A noi è sembrato che, in un posto così sperduto e lontano da tutto, la funzione di questi grandi bambolotti seri sia di fare compagnia.
In qualunque angolo dell'isola ce n'è uno; avvistarli da lontano, raggiungerli, riconoscerli, è come ritrovare degli amici, ti viene quasi voglia di andare a salutarli.
Ma se si pensa, come noi prima, e come le guide di viaggio lasciano intendere, che Rapa Nui sia solo l'isola dei misteriosi moai, si fa torto a questo puntolino nell'oceano che ha molte altre meraviglie.
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