lunedì 28 gennaio 2008

Punto e a capo.

A 5 mesi dalla partenza e pochi giorni prima di lasciare il Sud America, facciamo il punto nave.

IL VIAGGIO
Non ci siamo ancora stancate di essere in viaggio. Le cose belle che abbiamo visto in questi mesi hanno sempre rinnovato la nostra voglia di continuare. Certo, ci sono stati momenti meno eccitanti, come i giorni che precedevano le partenze importanti, o quelli immediatamente successivi alle esperienze più emozionanti. Come mai prima, abbiamo sentito sul corpo il potere inconfondibile dell'adrenalina, abbiamo scoperto che è una droga, è così bello l'effetto che ne vuoi ancora e ancora. Sarà per questo che qualche ora prima di ogni nuova partenza, sentiamo che andare è la cosa giusta.

GLI ALBERGHI
In questi mesi siamo state in 45 alberghi diversi. Possiamo davvero dire di averne visti di tutti i colori: quelli di lusso, quelli sfigatelli, quelli che odorano di pessimi detersivi e di spray profumati, quelli spic & span, quelli con moquette dal colore indefinito, quelli con il salottino, quelli in cui non c'è lo spazio per tenere aperte le valigie, quelli con l'angolo cottura, quelli con il bagno cieco e la ventola rumorosa, quelli senza frigo, quelli con viste squallide e quelli con panorami mozzafiato.
In un viaggio così lungo, la camera d'albergo non è mai solo un posto dove dormire, ma il luogo che deve assomigliare un po' a una casa: in cui prepariamo il caffè con l'inseparabile caffettiera da viaggio, in cui talvolta ceniamo, dove sempre facciamo il bucato, dove organizziamo il nostro viaggio e lavoriamo al computer.
All'inizio del viaggio, qualche giorno prima di arrivare e dopo aver letto le guide e sfogliato le foto in internet, prenotavamo una o due notti poi, sul posto, cercavamo soluzioni migliori o più economiche. Man mano che le tappe si susseguivano e si accorciavano, abbiamo capito che era antieconomico dedicare tanto tempo ed energie alla perlustrazione degli alberghi e abbiamo finito per prenotare spesso tutta la durata del soggiorno (mai più lungo di 5 o 6 giorni). Abbiamo anche capito che le descrizioni delle guide e le foto hanno la stessa probabilità di essere veritiere o menzognere. E' solo una questione di fortuna.

LA SALUTE
Eccetto l'episodio dell'intossicazione di Anto, siamo state sempre bene. Nessuna febbre, nessun raffreddore, quasi nessun problema intestinale, nessun mal di schiena. Delle due, Anto è quella che ogni tanto ha sofferto di qualche dolore articolare, come quello alla spalla che persiste da parecchie settimane (dagli esperti on-line, sono graditi consigli). Felix ha mantenuto il suo andamento irregolare riguardo all'orario del risveglio: qualche sveglia all'alba, qualche dormita fino alle 8. Il resto è tutto sotto controllo ;-)

IL BAGAGLIO
Abbiamo continuato, come prima della partenza, ad analizzarlo ad ogni sosta, per vedere cosa si poteva eliminare, cosa rispedire a casa, cosa sostituire. Abbiamo ridotto gli indumenti pesanti, ne abbiamo comprati alcuni più leggeri. Abbiamo abbandonato le guide via via che ci siamo spostate e ne abbiamo comprate di nuove.
In conclusione il peso delle nostre valigie non è diminuito affatto, se possibile è aumentato di qualche etto. Siamo sempre di poco sotto i 20 chili per ogni valigia e il desiderio irrealizzabile di liberarcene del tutto non è mai sparito.

LA LETTURA
Leggere le guide di viaggio è un lavoro necessario. Leggiamo sempre il quotidiano del posto dove siamo: è utile per familiarizzare con la lingua e conoscere il paese e anche divertente perché si scoprono sempre fatti interessanti e curiosità che altrimenti rimarrebbero sconosciute. In Cile e in Argentina ci siamo proprio affezionate ad alcune testate.
Felix sta leggendo un libro in italiano sull'India, ottenuto scambiando una guida dell'Argentina.
Anto sta leggendo un libro di storia della Patagonia in spagnolo, comprato a Ushuaia.
E' quasi impossibile leggere cose che non riguardino i posti dove siamo o dove andremo.

IL CIBO
Mangiare sempre sempre nei ristoranti si sta rivelando pesante. Cerchiamo di alternare i pasti fuori, con cene e pranzi autonomi (yoghurt, panini, crackers e formaggini, frutta). In ogni paese abbiamo apprezzato i piatti locali, ma alla lunga la monotonia della cucina, e i condimenti spesso indigesti, hanno pesato sulla nostra resistenza e sulla sensibilità del nostro stomaco. Ogni volta che l'alloggio ce l'ha permesso, abbiamo cucinato il riso e preparato insalate.
Ecco i ricordi migliori.
BRASILE. La frutta, l'açai e il guaranà (frullati cremosi di frutti amazzonici).
PERU. La sopa de pollo, il rocoto relleno (peperone ripieno), il cebiche (pesce crudo marinato nel limone), la trucha frita (trota fritta), il pisco sour (aperitivo alcolico).
CILE. Il pastel de choclo (tortino di mais e carne) e l'humìta (polenta aromatizzata e cotta in foglie di mais)
ARGENTINA. Il mate, la carne (non sarà originale, ma è davvero buona): il bife de lomo, il bife de chorizo, il cordero patagonico (agnello alla brace) e il gelato di Freddo.

COSA CI E' MANCATO DI PIU'
Le verdure e gli ortaggi cotti, che abbiamo trovato raramente. Il nostro pane integrale. I massaggi di Elvio. Ad Anto il suo letto. A Felix l'olio buono e il suo guardaroba. A entrambe i nipoti, nonostante i frequenti collegamenti via webcam.

IL POSTO PIU' BELLO
Non ve lo possiamo dire, perché non sapremmo sceglierlo. E il viaggio è ancora lungo.

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giovedì 24 gennaio 2008

Argentina

Lasciare l'Argentina già con la nostalgia è una cosa che ci fa sentire un po' stupide.
Ricordiamo ancora

la prima volta che abbiamo visto le montagne colorate; che abbiamo sentito dire: "Ah Italia! Mi abuelo era italiano"; che abbiamo visto questa terra dall'alto; che sentendoci parlare tra noi qualcuno ci ha detto: "Que lindo idioma italiano! Es muy dulce"; che uno sconosciuto, per salutarci, ci ha baciate; che abbiamo visto le persone camminare con il thermos pieno d'acqua sotto il braccio e in mano il bicchiere del mate; che ci hanno fermate per aiutarci a trovare la strada o l'autobus giusto; che il vento ci ha lasciate senza fiato.
Non riusciamo a toglierci dagli occhi gli spazi immensi così poco popolati; la maestosità dei paesaggi; la natura inospitale della Patagonia poco adatta all'uomo; ogni zona, una geografia a sè, unica e completamente diversa dalle altre; la storia di questo paese così epica e tragica; la forza vitale delle persone e il loro desiderio di guardare avanti che vorremmo ci contagiasse tutti; la luce; il niente; e i colori, i colori, i colori.
In Argentina non vale la pena girare per visitare le città, come eravamo solite fare. Qui le tracce umane (eccetto per la Capitale) non sono interessanti, troppo recenti e troppo diverse dalla nostra concezione di centro urbano, possono essere solo tappe utili per conoscere la vera meraviglia del paese: la natura.
Siamo contente di aver dedicato tanto tempo all'Argentina. Prima di arrivarci ci aspettavamo un luogo familiare, già un po' noto. Ma, se il paesaggio umano assomiglia alle nostre aspettative, quelli naturali sono stati una sorpresa. Qui, se anche ci fossimo fermate 6 mesi, avremmo avuto ancora cose nuove da scoprire, luoghi belli da vedere.
Nella malinconia di questo saluto, ci consola un po' sapere che torneremo, per rivedere i posti che ci hanno incantate e le zone che questa volta abbiamo tralasciato.

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sabato 19 gennaio 2008

Tierra del Fuego

A Ushuaia ci siamo capitate per caso.

Non era una tappa prevista nel nostro itinerario. Avevamo resistito alla tentazione di arrivare fin qui, nella città più a sud, alla fine del mondo, a soli 1.000 Kilometri dall'Antartide, solo per dire "Ci siamo state".
Ma quando due ragazzi catalani, giovani, simpatici che, come noi avevano amato i paesaggi dell'Argentina del nord-ovest, ci hanno consigliato di non perdere Ushuaia e il bellissimo Parque Nacional Tierra del Fuego, abbiamo cambiato i nostri programmi. Ci siamo fatte un po' prendere la mano dall'idea che la luce, quanto più si è a sud, tanto più è speciale, e ci siamo venute.
Effettivamente la luce qui è tanto forte da durare fin quasi a mezzanotte e riuscire a oltrepassare le nuvole grigie e spesse, sempre in movimento per il vento forte.
La cittadina, vista da lontano, sembra anche carina. E' una striscia di casette basse rivestite di lamiera colorata, stretta tra il mare del Canale di Beagle,
le montagne ancora un po' innevate e un cielo cupo che nei giorni del nostro soggiorno è sempre stato tumultuoso. Ogni tanto il sole si crea un varco tra le nubi e tutto risplende, ma sono attimi. Il canale di Beagle, che sembra un lago, è diviso a metà da una linea immaginaria che limita il confine con il Cile. Le isole al di là del canale sono cilene, disabitate eccetto il piccolo villaggio di Puerto Williams. Navigare nel canale, a parte l'eco darwiniana, non è stato emozionante, forse per il vento freddo, forse per il cielo scuro. La terra è più suggestiva, con moderazione. Sono belle le torbiere su cui c'è una specie di erbetta rossa e marrone, belli gli alberi grandi e grigi e con le foglie piccoline, bella l'erba che sembra muschio tanto è bassa e attaccata al suolo. Il parco è troppo perfetto e sembra l'Alto Adige, non la fine del mondo.
Questa terra non ci è sembrata Argentina. L'Argentina forse finisce sullo stretto di Magellano, più a Nord del canale di Beagle, che separare il continente dalla Terra del Fuoco, un agglomerato di isole grandi e piccole.
A Ushuaia ci siamo sentite stordite. Forse la luce qui è davvero speciale e c'è fino a tardi, o forse a stare a testa in giù per tanto tempo "la capa gira", o la vicinanza all'Artartide, che qui ha fatto sentire tutto il suo fascino tentatore, ci ha scom-bussolate. Fatto sta che anche noi ci sentivamo strane come gli abitanti di Ushuaia che abbiamo visto spesso, per strada, parlare da soli, cantare, fischiare.
Come Chatwin, che ha scritto di viaggi e di Patagonia, e di cui sono più famosi i titoli che i libri, ognuna di noi, in qualche posto di questa Patagonia e a Ushuaia in particolare, tutti i giorni, si è chiesta "Che ci faccio qui".


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lunedì 14 gennaio 2008

Nel blu

Quando si placa il vento, il ghiacciaio crepita,

scricchiola, cigola, sibila, schiocca, romba, scrocchia, come un cubetto di ghiaccio in un bicchiere d'acqua, qui però il "cubetto" è alto 60 metri sopra l'acqua, 170 metri sotto, ha un fronte di 4 chilometri e una lunghezza di 60.
Poi un'esplosione più sorda e profonda, come l'eco di uno sparo, annuncia che un altro blocco di ghiaccio, da qualche parte, è sul punto di staccarsi e precipitare fragorosamente nelle acque del Lago Argentino.
E' come se il ghiacciao così immobile, eppure così sonoramente vivace, avesse una vita occulta, che a noi non è dato vedere, ma solo sentire; e questo crea una specie di inquietudine.
Qui siamo come spettatori al cinema che ascoltano la radio. Affacciati alla balaustra guardiamo un film fatto di un solo fotogramma, ascoltiamo e aspettiamo. Quando il ghiaccio, cadendo, solleva una nuvola e crea un'onda nell'acqua, esclamiamo, esultiamo e speriamo che si ripeta presto.
Oltre al Perito Moreno, nel corso di un'escursione in barca, abbiamo visto anche il ghiacciaio Upsala, ancora più ampio, che si era rotto da pochi giorni e aveva disseminato i suoi iceberg (i témpanos) per tutto il Brazo Norte del lago; lo Spegazzini, ancora più alto, e un paio di ghiacciai minori affacciati su un lago affollato di piccoli ghiaccetti.
Dei colori non diciamo niente. Ve li lasciamo scoprire dalle fotografie. Ricordate, come i fotografi tra voi sanno, che fotografare il ghiaccio è difficile a causa dei riflessi e del bagliore, quindi quello che vedete dà solo un'idea dei colori che gli occhi hanno visto.

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martedì 8 gennaio 2008

Volare

Da Comodoro Rivadavia a El Calafate ci siamo spostate con un volo della LADE, Líneas Aéreas del Estado, la piccola e ormai unica compagnia aerea argentina sopravvissuta all'era menemista della svendita selvaggia dei beni dello stato (vi ricorda qualcosa?).

L'aereo era di quelli piccoli, da dodici posti, ma la cosa sorprendente è stato scoprire che non c'erano altri passeggeri. A bordo, oltre noi due, c'erano i due piloti, in addestramento, e l'istruttore seduto dietro di loro. La pista era spazzata dal rinomato vento patagonico e l'aereo sussultava già da fermo. In realtà il volo è andato meglio di quanto avessimo temuto, eccetto per un paio di scossoni, e per alcuni momenti in cui le raffiche di vento sembravano aver la meglio sulla potenza dei motori e l'aereo pareva muoversi più lateralmente che in avanti.
Poi, a una fermata intermedia nel minuscolo aeroporto di Perito Moreno (non il ghiacciaio, ma il paese), sono saliti insieme a noi, che intanto eravamo scese con i piloti per andare in bagno, altri tre passeggeri. Avremmo dovuto poi fare un ulteriore scalo a Gobernador Gregores, ma l'aereo, come fosse stato un bus di linea, non si è fermato, forse per il forte vento, forse perché non c'erano altri passeggeri.
L'arrivo a El Calafate è stato annunciato dal colore del Lago Argentino; sembrava che qualcuno ci avesse spremuto dentro il celeste del tubetto delle tempere, tanto il colore dell'acqua era denso e squillante, verrebbe da dire, argentino.
La steppa patagonica vista dal cielo è noiosa quasi come da terra. Colpisce l'assenza dell'uomo. Il paesaggio offre poco: alcune geometrie stradali, letti di fiumi prosciugati, qualche estancia nel nulla, crateri lunari e pozze d'acqua dai colori improbabili.
Insieme alla maestosità dei paesaggi, questi colori si stanno rivelando la vera sorpresa del nostro giro in Argentina. Non eravamo preparate a vederne così tanti in natura, e tanto diversi da quelli conosciuti.


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mercoledì 2 gennaio 2008

Abbiamo visto la luce

Nella Patagonia che abbiamo percorso finora, quella del nord, non c'è niente da vedere.

Il paesaggio è piatto, ma di un piatto, piatto e noioso, così noioso che dopo un'ora di pullman, dopo nuvole e cespugli, cespugli e nuvole e cespugli e nuvole... è come contare le pecore, che qui non mancano, e ci si addormenta.
Non ci sono alberi, solo i cespugli spinosi resistono all'assenza di pioggia e al vento costante. Ci sono gli animali selvatici: maras, guanachi, choiques, ci sono gli elefanti marini che si cuociono al sole e ogni tanto emettono un barrito, sembrano salsicce giganti in cottura su una graticola.
Ci sono i pinguini con la loro camminata irresistibile.
Poi ci sono nuvole basse e sempre in movimento. A Puerto Madryn c'è anche una bella spiaggia e il mare è di un azzurro-blu che ricorda la Grecia e forse è più bello, certamente più gelido.
E poi tramonti niente male: da un lato le nuvole incendiate, dall'altro un colore mai visto. Abbiamo deciso che è indaco e siamo certe di non poter essere smentite; d'altro canto, chi ha mai visto l'indaco? Il cielo diventa arancione e celeste, poi verde, rosa e altri colori che elencarli tutti...
Qui fa buio tra le nove e mezza e le dieci, e dal 30 dicembre con l'ora legale, tra le dieci e mezza e le undici.

Insomma, quello che stiamo vedendo in Patagonia ci sta piacendo moltissimo, così tanto che quasi non vorremmo dirlo per non farvi troppo male.
Ma più di tutto ci è piaciuta l'essenza stessa del vedere.
E' come se qualcuno avesse acceso la luce in una stanza prima in penombra; possiamo dire che davvero ora sì, ogni cosa è illuminata. Si distinguono i dettagli, anche quelli lontani; i colori sono così' definiti che si riesce perfino a nominarli; le nuvole sono vive, come se si potesse allungare la mano e prenderne una; e l'orizzonte, ampio e circolare, è finalmente nitido e marcato. Per due miopi come noi, è una specie di miracolo.

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