lunedì 31 dicembre 2007

¡Feliz Año Nuevo!


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sabato 22 dicembre 2007

Desaparecidos

- LO SPOT
- L'ANNUNCIO
- LA TARGA
- IL PROCESSO
- LE MADRES Y ABUELAS DE PLAZA DE MAYO
- NATALE A BUENOS AIRES

- LO SPOT
In televisione, tra le pubblicità commerciali appare una giovane donna che invita i familiari dei 30.000 desaparecidos a contribuire alla ricerca e alla identificazione dei resti, sottoponendosi all'analisi volontaria del DNA.
Per noi è una storia di 30 anni fa. Qui è un pezzo della vita di tante delle persone che abbiamo incontrato. Eppure ci è sembrato che di quegli anni la gente preferisca non parlare.

- L'ANNUNCIO
Su Pagina 12, quotidiano indipendente e progressista, quasi tutti i giorni ci sono riquadri con le foto di giovani desaparecidos e una frase di ricordo di parenti o amici che, nell'anniversario della scomparsa, usano questo mezzo per tenere viva la memoria di quello che è successo in questo paese durante gli anni dell'ultima dittatura militare, trent'anni fa.
Il dettaglio che più ci ha turbate è che spesso, sotto la foto, è riportato il luogo dove la persona è stata vista l'ultima volta e l'invito, rivolto a chi l'avesse visto in seguito, a darne notizia.

- LA TARGA
Camminando per strada, sul marciapiede, ogni tanto una targa, tipo quelle turistiche: qui visse il famoso scrittore, lo scienziato, il poeta. Queste però indicano le case dove abitavano i ragazzi, spesso giovanissimi, scomparsi e mai più tornati.

- IL PROCESSO
Pochi giorni prima della sentenza di condanna di Febres, il principale responsabile dell'ESMA la scuola militare argentina, uno dei luoghi di tortura e detenzione, l'imputato è stato trovato morto, avvelenato da cianuro, nella sua "prigione dorata". Un giallo: suicidio o omicidio da parte di "complici"?
E la scomparsa, più di un anno fa, di Julio Lopez, principale testimone dell'accusa, desaparecido già in quegli anni? Le polemiche: bisogna fare i processi subito, prima che sia troppo tardi. La richiesta delle associazioni per i diritti umani: i militari imputati dovrebbero stare in carcere e non, come ora accade, agli arresti domiciliari. La ferita è aperta e non cessa di sanguinare.

- LE MADRES Y ABUELAS DE PLAZA DE MAYO
Qui sono un'istituzione, hanno una grande sede, una libreria, un bar, organizzano corsi di sociologia e diritti umani che vorrebbero vedere riconosciuti come corsi universitari. Si danno un gran daffare in tutti gli ambiti della vita sociale per tenere viva la memoria, ora che sanno di non poter ritrovare i loro figli, per restituire alla loro vera identità le centinaia di nipoti adottati dai carnefici delle loro madri, spesso ancora ignari della loro storia, e perché si celebrino i processi, ora che finalmente sono state abrogate le vergognose leggi del "Punto Final y Obedencia" che sancirono la prescrizione dei reati commessi dai membri del regime e l'impunità per tutti i militari che avevano commesso delitti in quanto ubbidivano a ordini. L'ammirazione per queste donne così coraggiose e determinate è immensa e dà speranza.

- NATALE A BUENOS AIRES
Il bello del Natale qui è che sembra una festività come le altre. Non paralizza la città, non prende il sopravvento sulla vita quotidiana. E' un giorno festivo che dà il via alle vacanze estive. E' strano, perché la città non è molto diversa dalle nostre: ha grandi centri commerciali, strade ingorgate dal traffico, vie brulicanti di negozi, e poi la religione cattolica è molto sentita (e come potrebbe essere altrimenti, vista l'impronta europea data dagli immigrati); eppure il clima pre-natalizio è molto diverso che da noi.
Vista da qui la frenesia degli acquisti e dei preparativi sembra davvero solo una forzatura commerciale a cui però è impossibile sottrarsi.
Vi lasciamo ai pranzi, agli impacchettamenti; noi affronteremo il caldo torrido di queste ultime giornate a Buenos Aires.
Il prossimo aggiornamento, dalla Patagonia, e forse saremo ancora nel 2007.

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lunedì 17 dicembre 2007

- MUSEO DE LOS INMIGRANTES
- LOS BASUREROS
- FREDDO
- EXACTAAAMEEENTE

- MUSEO DE LOS INMIGRANTES
Grande edificio inizio novecento, tra il porto e la ferrovia, era la tappa obbligata per gli europei che sbarcavano a Buenos Aires. Vi si fermavano alcuni giorni, il tempo di venire rinfrancati dopo quasi un mese di navigazione, fare le visite mediche, ricevere una basilare istruzione professionale, e nozioni sulla geografia e sulla storia del paese che li accoglieva, prima di andare verso la nuova vita.
Si vedono enormi stanzoni in cui è facile immaginare i 300 letti per camerata, o le sale mensa che accoglievano turni di mille persone per volta (e sempre gli uomini separati dalle donne).
Da qui è passata tutta l'Europa, gli italiani sono stati il 60% di questa "alluvione" migratoria; e da qui bisogna passare, anche noi, per capire almeno un po' questa città e questo paese, lasciandosi commuovere dagli stralci di vita che emergono da ognuno dei miseri oggetti raccolti.
Qui gli europei di cent'anni fa sono stati accolti con più dignità e rispetto di quanto oggi l'Europa ne riservi ai suoi immigrati.

- LOS BASUREROS
Tra le sette e mezza e le otto di sera, quando i negozi iniziano a chiudere, per le strade di Buenos Aires compaiono i "basureros". Trascinando un carretto a due ruote vanno al lavoro. Spesso sono gruppi di ragazzi, ma talvolta intere famiglie, con i neonati in carrozzina. Si tratta di gente umile, non di disperati. Raccolgono i sacconi grigi della "basura" che i negozianti mettono sul marciapiede, li trasportano in un punto tranquillo della strada, dove non intralciano il traffico e lì cominciano la "raccolta differenziata": carta, plastica, metalli, e tutto quanto si può rivendere. Raccolgono i materiali in enormi sacconi di tela sul carretto e se ne vanno lasciando sul marciapiede solo quello che non è riciclabile. Alle 10 le strade sono pronte per il normale servizio di nettezza urbana.
Le prime sere queste scene, soprattutto quelle familiari, ci facevano molta impressione, ne coglievamo solo il degrado e la cecità dell'amministrazione che non promuove la differenziazione a monte; con il passare dei giorni ci siamo quasi abituate, ci sembra un lavoro, sporco, ma non più di tanti altri e riconosciuto dalla società.

- FREDDO
Non è il clima in città, ma il nome di una catena di gelaterie artigianali. Qui abbiamo mangiato (e stiamo ancora mangiando) il miglior gelato di Buenos Aires e non solo. Per quelli che conoscono il cioccolato di Ciccio, per gli appassionati del semifreddo al tiramisù di via Marghera, per i fans del Napoleon... beh, un Cucuruchu, cioè il cono di cialda croccante al cioccolato rivestito di cioccolato fuso, con su un gelato di Chocolate Amargo... non ha proprio niente niente niente da invidiare... anzi :-P
Per i feticisti del genere: http://www.freddo.com.ar

- EXACTAAAMEEENTE
E' l'intercalare più usato a Buenos Aires, lo dicono tutti e lo dicono proprio così, strascicando la A e la E. E' diventato il tormentone del nostro soggiorno porteño: è difficile trattenere una risata ogni volta che lo sentiamo, cerchiamo di imitare la cadenza originaria, con scarso successo e grandi risate.

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martedì 11 dicembre 2007

El dia de la Asunciòn

Il 10 dicembre è stata una giornata speciale a Buenos Aires. La presidenta eletta a ottobre, Cristina Fernandez de Kirchner, ha ricevuto formalmente il bastone del comando presidenziale dal marito, Nestor, eletto presidente dell'Argentina 4 anni fa. E' la prima volta che un incarico presidenziale elettivo passa di mano tra marito e moglie (i Kirchner hanno battuto sul tempo i Clinton, senza contare che in quel caso ci sono stati di mezzo i disastrosi anni Bush).

Le cerimonie ufficiali sono cominciate la sera prima. Nella "cena de despedida" il presidente uscente e la "Primera Dama" hanno ricevuto i presidenti sudamericani ospiti e i delegati dei principali paesi europei. Noi l'abbiamo scoperto per lo spiegamento di polizia e televisioni che, rientrando a casa, abbiamo trovato davanti a Palacio San Martin, alle spalle del nostro residence.
Nel pomeriggio del giorno seguente, dichiarato festivo per l'occasione, la ex-Primera Dama è diventata Presidenta, ha tenuto un vivace discorso nell'aula del Congresso, apprezzato da molti e spesso applaudito soprattutto per i riferimenti alle Madres y Abuelas de Plaza de Mayo, presenti, definite esempio di coraggio per la patria. Poi... la fiesta! Un affollato concerto in Plaza de Mayo in cui la Presidenta è stata accolta sul palco da Mercedes Sosa, con cui ha cantato un paio di celebri canzoni.
Della festa ci hanno colpito soprattutto la partecipazione popolare, abbiamo visto facce di persone che non avevamo ancora incontrato in città, e i continui e sentiti riferimenti al peronismo, soprattutto a Evita, considerata davvero nume tutelare della patria.
Questa del peronismo è una questione non semplice da capire, qui le distinzioni destra/sinistra sembrano non tenere più: tutti sono peronisti e le differenze politiche sembrano vertere su quale modello di peronismo applicare. Insomma, sono giorni e giorni che leggiamo quotidiani e approfondimenti e ancora non ne siamo venute a capo. La festa, anche per noi, come per tutti i presenti, si è conclusa con la tipica "chorizada argentina", ovvero un bel panino con salsiccia degno delle migliori feste di piazza.

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domenica 9 dicembre 2007

Siamo a Buenos Aires da una settimana

e per i primi quattro giorni abbiamo cercato una casa dove sistemarci per le 3 o 4 settimane della nostra permanenza. L'unica sosta lunga di questo lungo viaggio.
La grandezza della città e la prossimità delle feste natalizie, che qui coincidono con le vacanze estive e l'alta stagione turistica, ha complicato la ricerca. Alla fine ci siamo arrese accontentandoci di un bilocale con minicucina in un residence a due passi dall'albergo in cui eravamo alloggiate. Siamo nel Microcentro che, a dispetto di quanto lascerebbe intendere il nome, non è la zona più piacevole in cui abitare, trafficata e piena di uffici, di alberghi e negozi da shopping natalizio (il fans club di Segrate avrebbe il suo bel da fare).
Le lunghissime camminate alla ricerca di alloggio ci hanno però permesso di conoscere molte zone della città prima ancora di cominciare a visitarla.
Buenos Aires è grande, pianeggiante e tagliata da strade tutte parallele e perpendicolari; come tutte le città coloniali dell'America del Sud che abbiamo visto ha una piazza centrale e quadrata, tipicamente Plaza Mayor che qui è Plaza de Mayo, che serviva per tracciare le prime 4 strade della città e le successive parallele.
In questo reticolato perfetto e monotono ogni isolato si chiama "quadra". A ogni quadra la numerazione parte dalla centinaia successiva, così nel primo isolato ci sono i numeri da 0 a 100, nel secondo da 100 a 200 e così via. Questo consente di muoversi agevolmente nell'immensa scacchiera della città. E' sufficiente contare le quadre su una cartina per capire dove si trova il civico 6134 dell'Avenida Corrientes (detto per inciso, questo significa che la via in questione ha ben 61 quadre). Questo sistema di orientamento, insieme alla consuetudine di indicare tutte le ubicazioni in città citando sempre l'incrocio, ha facilitato i nostri spostamenti. Ora alloggiamo in Avenida Marcelo T. de Alvear con Esmeralda(!).

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sabato 1 dicembre 2007

Iguazù

Un autobus locale affollato di turisti, dopo aver percorso una strada nella foresta, ci lascia all'ingresso del Parco di Iguazù, non lontano da un parcheggio per pullman gran turismo, davanti a edifici stile "stabilimento balneare". Lì tutti in coda davanti all'unica biglietteria, poi un tornello e finalmente dentro. Percorriamo in mandria un largo viale verso il centro visitatori e poi tutti sul trenino che si addentra nella selva. Alla prima fermata tutti giù verso le cataratas.
Appena imboccato il primo sentiero: la magia.

Al verde, ai mille verdi, si aggiungono i trilli, i fischi, i sibili di uccelli invisibili. La folla dei turisti non si è ancora sparpagliata, ma già non li sentiamo più, già non li vediamo. Il gioco di indovinare gli uccelli tra le foglie e distinguere le iguane tra i sassi ci ha rapite, così percorriamo i sentieri e le passerelle che avvicinano alle cascate inseguendo le farfalle colorate, ma molto colorate, e grandi, ma molto grandi.
Quando ai versi inauditi, nel senso proprio di mai uditi prima, si aggiunge un gorgoglio profondo, che parrebbe uno scroscio, ma è di più, il passo si fa veloce.
Sì vabbè, gli alberi, gli animali, ma l'acqua!!! Che richiamo irresistibile.
Dall'alto il fiume sembra placido, scorre in un lieve pendio, quasi una pianura, prima di cascare si allarga, forma quasi un lago. Ma quando la terra gli viene a mancare sotto i piedi, l'acqua che precipita risucchia anche noi, e i nostri sensi.
L'istinto di buttarcisi dentro è forte, lo tratteniamo a fatica. Ci sentiamo deboli di fronte alla forza della natura.
Visto dal basso il fronte d'acqua è davvero ampio, sulle passerelle si arriva molto vicino alle cascate, ci si bagna nel vapore sollevato dall'acqua.
La giornata è tutto un allontanarsi dalle cascate, per sottrarsi all'ipnosi, per poi immancabilmente cedere al richiamo.
Quando il parco chiude, siamo costrette a uscire anche noi.
Il giorno dopo, versante brasiliano. In mezz'ora si attraversa il confine e si entra in un altro parco.Qui le cascate si vedono dall'altra sponda del rio Iguazù, sono più lontane e più panoramiche, ma non c'è l'emozione di trovarcisi dentro.
Il terzo giorno rinunciamo a un'escursione che prevede 8 ore di pullman e torniamo alle cascate argentine.
Dopo un deludente sentiero nella foresta, decidiamo di andare a vedere ancora una volta "la grande acqua", che è poi il significato di "Iguazù" nella lingua guaranì.
E qui la sorpresa della prima volta si rinnova e si amplifica.
E' vero che le cascate cambiano in funzione delle piogge lungo i 1300 Km del fiume, ma ora sono grandi il doppio!
Sembra che qualcuno abbia aperto un rubinetto e l'acqua, che avevamo visto scorrere in rivoli, adesso sì, scroscia davvero.
Andare via, a fine giornata, non è facile.

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martedì 27 novembre 2007

SENSAZIONALE !

I Bee Gees non sono morti...

come credevamo noi da una ventina d'anni. Sono qui, negli alberghi argentini, negli shopping center, nelle musiche d'attesa dei call center. E non sono soli; ci sono anche Rod Stewart, i Wham!, i Culture Club, Falco, i Duran Duran...
Insomma, posso dare una parziale risposta alla domanda che più di vent'anni fa si poneva Raf: cosa resterà di quegli anni ottanta non lo so, so però che quello che resta della musica si trova qui, in Argentina, e gode di buona popolarità.
Degli italiani, invece, si sentono solo Eros Ramazzotti e Laura Pausini che qui devono sembrare pura avanguardia.
Anche la ricerca di un cellulare per Felix, in sostituzione di quello "perduto", ci riporta indietro di anni. Qui i cellulari si vendono ancora solo vincolati al contratto con la compagnia telefonica e non si può cambiare gestore senza cambiare telefono a meno di "sbloccare" il cellulare, pratica non proprio legale però di fatto comune. Se poi si cerca un cellulare che si possa usare in Argentina e anche nel resto del mondo, le cose si complicano: bisogna comprare un quadri-banda "liberato", cioè non vincolato al gestore, scegliendo tra i pochi e costosi modelli appena immessi sul mercato.
E se tutto questo vi fa un po' sorridere, sentite cosa pensano gli argentini di noi. Il principale quotidiano nazionale, il "Clarìn", di domenica titolava (in una pagina interna) "Silvio Berlusconi. El gran titiritero de la politica italiana da un nuevo golpe escènico", e concludeva così l'articolo "La situaciòn politica de Italia, un paìs en decadencia, envejecido y cada vez mas conservador, donde las clases populares han perdido mucho de su poder adquisitivo en favor de los ricos, aparece a la vez muy movilizado por las novedades y bloqueado en sus perspectivas".

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martedì 20 novembre 2007

Ischigualasto e Talampaya

Anche noi, come voi, queste parole non le avevamo mai sentite prima.

Ora sappiamo che non le dimenticheremo.
Nel Nord-Ovest dell'Argentina, nella regione di Cuyo, dalle parti di San Juan Capital, a un'ora da San Augustìn Valle Fèrtil, ci sono questi due Parchi Naturali, dichiarati Patrimonio dell'Umanità.
Si tratta di un'ampia superficie del periodo Triassico (250 milioni di anni fa, e questo spiega gli scheletri di dinosauri rinvenuti), riportata alla luce dai grandi sommovimenti geologici legati al "repentino" innalzamento delle Cordillera delle Ande.
Le diverse temperature, il grado di umidità, e la composizione del terreno, unite all'ossidazione, hanno colorato diversamente gli strati di terra. Il vento incessante e l'acqua delle scarse piogge hanno fatto il resto.
Noi siamo rimaste a bocca aperta.

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domenica 18 novembre 2007

Verso Mendoza

In confine che separa Cile e Argentina divide nettamente in due anche il paesaggio.
Il bus che da Santiago ci ha portato a Mendoza ha percorso il versante cileno delle Ande caratterizzato da rocce spigolose e scure, che vanno dal grigio al nero, imbiancate in cima dalla neve che si va sciogliendo.

Superato il posto di confine, il paesaggio si colora e gli spazi acquistano ampiezza. I pendii, più morbidi, sono striati da rocce di tutti i colori. Il rio Mendoza, che attraversa la valle, acquista nel suo persorso un insolito color tortora. Alle nostre spalle, in lontananza, la catena dell'Aconcagua, la più alta dopo quella dell'Everest, fa da sfondo a tutto ciò.
All'avvicinarsi a Mendoza, invece, il colore diventa uno solo: il verde. Quello della distesa di vigneti appena fuori la città, e quello dei grandi alberi che costeggiano tutte, ma proprio tutte, le vie cittadine, tanto che non siamo riuscite a vedere le facciate dei palazzi.
E' difficile, qui, credere di essere in Sud America: i nomi e cognomi sono molto spesso italiani, le facce sono quelle nostre, è quasi impossibile mangiare in un ristorante che non sia italiano, l'olio è tornato a essere extra-vergine, ci sono persino le Fiat (anche se i modelli più antichi) e, dopo più di due mesi, abbiamo rivisto i bidet nei bagni.

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domenica 11 novembre 2007

Valparaìso

Ci avevano avvertite: ai viaggiatori prima o poi succede. A noi è successo a Valparaìso, ridente cittadina costiera a 130 km da Santiago.

Così, quando ieri pomeriggio, dopo una bella passaggiata di 2 ore lungo una strada che attraversa a mezza altezza tutte le colline della città, i tre ragazzotti che ci avevano da poco superate si sono voltati all'improvviso e, coltello alla mano, ci hanno intimato di dar loro gli zaini solo gli zaini e niente più, abbiamo fatto quello che tutti consigliano di fare: abbiamo mollato subito gli zainetti e tirato un sospiro di sollievo vedendoli allontanarsi di corsa.
Due automobilisti che avevano visto parte della scena si sono fermati e gentilmente ci hanno riportato nelle vicinanze del nostro alloggio.
Fortunatamente carte, soldi e documenti non erano negli zaini. Abbiamo perso solo gli occhiali (bella idea è stata farne un paio di riserva prima di partire!), il cellulare di Felix, il diario di viaggio e poco altro.
Sfortunatamente di Valparaìso non vedrete foto, giacché nel mio zaino c'era anche la macchina fotografica comprata poche settimane fa.
Il nostro week-end a Valparaìso si è così concluso con un giorno di anticipo. Siamo tornate a Santiago a smaltire le emozioni forti. Ci sentiamo molto fortunate.

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venerdì 9 novembre 2007

Santiago

Santiago non ha il mare, come Milano. Ha molti parchi, come Londra. Ha grandi viali alberati, come Parigi. Ha i colli (che qui si chiamano cerri), come Roma. Ha 5 linee di metropolitana bella, pulita, efficiente, come Madrid. E' contornata da montagne, come Trento. Gli abitanti sono educati e disciplinati, come non avevamo ancora visto.

Insomma, Santiago è una città moderna in cui si vive bene, tra quelle viste finora è la città sudamericana più europea, sembra anzi che dell'Europa abbia colto il meglio.
Noi che amiamo le città, abbiamo camminato a lungo e passeggiando in molti quartieri abbiamo avuto spesso l'impressione di essere in campagna perché gli alberi, grandi e fitti, nascondevano le case.
Un po' scettiche, dopo tanti deludenti musei inca e pre-inca, siamo state felicemente sorprese dal bellissimo Museo di arte precolombina, che raccoglie pezzi di quasi tutte le civiltà centro e sudamericane. E così abbiamo deciso che il nostro prossimo viaggio (eh sì... siamo già a questo punto!) sarà in America Centrale.
Arrivare, domenica mattina, nella piazza deserta davanti a La Moneda è stato emozionante. Avevamo negli occhi le immagini del bel documentario di Patricio Guzmàn su Salvador Allende (a chi non l'avesse visto lo consigliamo caldamente) e nelle orecchie la voce del Presidente nel suo ultimo discorso alla radio, mentre gli aerei sorvolavano il palazzo.
Ma il più bel regalo che Santiago ci ha fatto è stata l'estate. Siamo state accolte dall'odore degli alberi fioriti: tigli, ippocastani, platani, sommacchi e gelsomini.
Felicetta si è definitivamente convinta che, dopo il freddo del Perù, ci aspettano ancora mesi di caldo e, sull'onda di questo entusiasmo ci siamo liberate, rispedendoli a casa, degli indumenti più pesanti.

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sabato 3 novembre 2007

Clinica Iquique

Siamo arrivate alla Clinica Iquique ieri mattina, dopo aver sperato e aspettato per 4 giorni che mi passassero i disturbi addominali, l'indolenzimento al fegato e la fiacchezza smisurata, che mi rendeva difficile fare anche pochi passi intorno all'albergo.

Entrate al reparto "Urgencia", ci siamo trovate in una piccola sala d'attesa, al banco dell'accettazione, un'impiegata ha registrato i miei dati al computer e ci ha invitate a sederci. Dopo pochi minuti e un paio di persone in attesa prima di noi, siamo state chiamate nella zona ambulatori. Lì un infermiere mi ha misurato temperatura e pressione, poi è arrivato il medico: un signore di mezz'età gentile e tranquillo che mi ha fatto alcune domande, ha ascoltato senza fretta le mie risposte, mi ha visitata, e infine mi ha suggerito un paio di esami. Dopo pochi minuti è tornato l'infermiere con la lista degli esami indicati dal medico, ha verificato che fosse mia intenzione eseguirli, mi ha comunicato l'importo che avrei pagato e mi ha fatto il prelievo. Dopo un'ora, i risultati hanno indicato, come era facile immaginare, un'infezione batteriologica con qualche ripercussione sul fegato (ecco spiegata la grande debolezza). Terapia: antibiotico. Prima di andar via ho ritirato il certificato del medico e l'esito degli esami e, ripassando dall'accettazione, ho pagato con la carta di credito. Impressione degli ospedali cileni: ottima. Se passando da qui ne aveste bisogno, vi consiglio la Clinica Iquique: gentili ed efficienti!
Da oggi, prima che l'antibiotico possa aver fatto effetto, sto già molto meglio e la nostra giornata è stata quasi normale. Abbiamo organizzato la partenza di domani per Santiago, stravolgendo l'itinerario previsto, e abbiamo visitato Humberstone, un'ex cittadina mineraria a 50 km da Iquique, abbandonata nel 1961 e oggi città fantasma. Una cittadina in pieno deserto, adiacente a una miniera di salnitro, completamente deserta eppure perfettamente conservata. La ripresa è appena cominciata!


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mercoledì 31 ottobre 2007

Pausa tecnica

Dopo l'ennesimo cebiche, dopo un mese di fritture, dopo l'ultimo fritto misto di frutti di mare...

il mio fegato ha fatto Booouuum!
E mentre a Segrate si sollazzano scambiandosi ricette e leccornie, a me solo l'idea di cibo...
Insomma ci stiamo fermando qui a Iquique facendo vita da pensionate in attesa che il mio corpo torni... a splendere!
Intanto abbiamo capito che dovremo modificare l'itinerario previsto perché a San Pedro de Atacama, la prossima tappa dove pensavamo di fermarci almeno una settimana, non c'è posto.
E' incredibile: da quando siamo partite spesso abbiamo avuto difficoltà a trovare alloggio; c'è sempre qualche convegno, fiera, festa o evento speciale. L'ultima, proprio qui a Iquique, è una "convention" di surfisti...
Si fossero almeno visti in giro... chissà dove stanno rinchiusi!


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venerdì 26 ottobre 2007

Dal Perù al Cile

Per attraversare la frontiera tra Tacna e Arica ci sono tre modi: il treno, che ha orari molto scomodi, numerosi bus che partono dal terminal internazionale e il mezzo consigliato da tutti: il taxi collettivo. A Tacna i terminal dei bus, così come le strade cittadine, sono assediati da tassisti regolari e no che offrono il passaggio della frontiera, ma ci avevano consigliato di rivolgersi solo a una delle numerose agenzie autorizzate all'interno del terminal.

Già il tassista che ci portava dall'albergo all'autostazione ci aveva proposto il passaggio in Cile chiedendoci ben 30$, il triplo della tariffa dei taxi collettivi, senza nessuna garanzia: abbiamo rifiutato. Appena arrivate in prossimità del terminal la nostra macchina è stata presa d'assalto da una decina di autisti che, rivolgendosi a noi o implorando la mediazione del tassista, e infilando testa o braccia dai finestrini, ci offrivano il loro trasporto ad Arica. Abbiamo rifiutato una decina di volte, ma sapevamo che il peggio doveva ancora venire. Da quando siamo scese dal taxi e per i 10 minuti successivi, decine di autisti, spesso contemporaneamente e circondandoci, ci hanno offerto il loro servizio, dichiarando chi di essere regolare, chi cileno (come se fosse una maggiore garanzia), chi di poterci accompagnare fino all'albergo di Arica. Mentre avanzavamo nell'atrio del terminal, cercando di capire dove fossimo e dove fossero le agenzie ufficiali, abbiamo continuato senza sosta a ripetere "No, no gracias, no!", alzando anche un po' la voce con quelli più insistenti. E mentre noi combattevamo con gli autisti, che si allontanavano per noi riavvicinarsi e tornare alla carica, i tasssiti combattevano tra di loro, chi ribadendo il nostro no, chi lasciando intendere agli altri che eravamo già "acquisite", chi mostrando di difenderci dagli altri per conquistare la nostra fiducia.
Alla fine, continuando a dire no, ci siamo avvicinate al banco di un'agenzia a caso e abbiamo comprato i nostri passaggi.
Abbiamo cambiato i soles in pesos e siamo state affidate a uno degli autisti che avevamo respinto con insistenza poco prima.
Costui ci ha condotte nel parcheggio dell'autostazione, ha infilato le nostre valigie in un macchinone americano un po' scalcagnato e ci ha lasciate sotto il sole in compagnia di un altro passeggero, mentre lui andava a raccattarne altri due. Infatti la macchina, per partire, deve essere al massimo della capienza: cinque passeggeri più l'autista. L'attesa è durata mezz'ora. Nel frattempo ho fatto due chiacchiere con il terzo passaggero per carpire qualche informazione sul viaggio. Ho scoperto che lui viaggiava già da due giorni e che lo aspettavano altri due giorni di trabordo in collettivo per andare da Truillo, a nord di Lima, dove vive la sua famiglia a Buenos Aires dove lavora da 13 anni: quasi lo stesso itinerario che noi faremo in 2 mesi!
Finalmente il tassista è tornato con altri due passeggeri: un giovane peruviano senza bagaglio e un signore cileno venuto a Tacna per comprare dei pezzi di ricambio che, come molte altre cose, qui costano meno.
Prima di partire, un po' per gioco un po' no, ho mandato un messaggio a mio fratello comunicandogli il numero di targa della macchina, con la preghiera, se dopo qualche ora non avesse ricevuto mie notizie, di cominciare le ricerche.
Siamo partiti e per mezz'ora abbiamo viaggiato nel deserto, con miraggi di acqua all'orizzonte, musica criolla dalla radio e a velocità "peruviana", ho capito solo allora perché il tizio accanto a me si era fatto il segno della croce alla partenza...
Arrivati alla frontiera peruviana, siamo scesi e, recuperate le valigie, abbiamo passato il controllo antidroga dei bagagli (sì, la coca l'avevamo già lasciata!) e il controllo passaporti. Il tassista ha sbrigato le sue pratiche e ci ha recuperati al di là dei gabbiotti dei doganieri. Attraversata una striscia di terra di nessuno, siamo nuovamente scesi dalla macchina, per rifare la stessa trafila alla frontiera cilena. Il tassista ci ha nuovamente recuperati al di là della barriera e, sempre in volata, siamo arrivati ad Arica.
E lì, come un vero miraggio: il mare! Che non vedevamo da un mese, giacché quello di Lima non ci era sembrato tale.
Fin dai primi accenni di città, ci è sembrato di essere tornate alla civiltà: strade asfaltate bene, con perfino la striscia di mezzeria, edifici normali, cioè bruttini come quelli delle periferie italiane ma intonacati e con un tetto di cemento e non di lamiera. Impressione confermata poi dal giro in centro nel pomeriggio: che belle le signore cilene, normali, magre o cicciottelle con gonne al ginocchio o pantaloni, occhiali da sole e borsetta a tracolla: sembra di essere nell'Italia di 30 anni fa... che bello!
Quando poi, festeggiando l'arrivo in Cile con una bella parrilla, dalla radio del ristorante abbiamo sentito la voce di Franco Simone e di Adamo (si avete capito bene, si parla di 20 e 40 anni fa...) e il cameriere ci ha informate con complicità che questi cantanti italiani qui riscuotono molto successo... ci siamo davvero sentite a casa...
A proposito di Cile: bel cielo e terremoti. Ieri notte, ancora in Perù, abbiamo sentito il primo terremoto "cileno"... non è una bella sensazione essere svegliate da qualcuno che scuote il tuo letto e scoprire che è un terremoto. Aspetti e speri che passi in fretta, prima che crolli qualcosa. E stasera, prima luna piena cilena: bella, grande, luminosa come un faro.
Viva el Chile! Viva Salvador Allende!

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giovedì 25 ottobre 2007

Siamo partite da Cusco con un bus notturno molto comodo, poltrone letto completamente reclinabili e cena servita come in aereo. La mattina all'alba siamo arrivate ad Arequipa dove avevamo prenotato un altro pullman per Tacna.

Appena fuori da Arequipa ci ha sorprese il deserto. Sapevamo che la zona meridionale del Peru' è desertica, ma non immaginavamo di viaggiare per 5 ore in un paesaggio interamente sabbioso. A metà del percorso, in pieno deserto, ci hanno fatto scendere dal pullman per controllare i bagagli e accertarsi che non trasportassimo frutta. Infatti la regione di Moquegua si dichiara "libera dalla mosca della frutta" e per continuare le esportazioni con questo marchio si accertano che sul territorio non arrivi frutta, con relative larve di mosca, da altre regioni. La scena era surreale: una casupola in pieno deserto, una fila di passeggeri appiedati con i loro zaini in attesa del controllo, caldo torrido e noi due attrezzate per la montagna (giacche a vento, pantaloni di pile e scarponcini).
Infine siamo arrivate a Tacna, la cittadina più a sud del Perù a pochi kilometri dal confine con il Cile, tappa obbligata per attraversare la frontiera. Domani lasciamo il Perù che nel complesso ci ha entusiasmate per alcuni paesaggi naturali e per l'imperdibile Machu Picchu, e ci ha deluse per il contatto sempre solo "commerciale" con la gente del luogo; ogni scambio di parole era seguito dalla richiesta di acquistare qualcosa o di dare una mancia.
Qui abbiamo mangiato meno bene che in Brasile. A parte l'ottimo Cebiche, un misto di pesce e frutti di mare crudi marinati nel lime (dei Caraibi?) e guarnito con cipolla e patata dolce, tipico delle zone costiere (slurp); il rocoto relleno, peperone piccante ripieno di riso, carne e formaggio fuso, tipico di Arequipa; e la carne di alpaca, tenera e saporita; il resto è stato pollo in tutte le salse (sopa di pollo, dieta di pollo, pollopapa, cioè fritto e con patate fritte, alla piastra, al girarrosto, nelle empanadas, alla napolitana, alla milanesa!), carne discreta, patate fritte e riso scotto. Invece non abbiamo avuto il coraggio di assaggiare la vera specialità del paese: il cuy chactado, il porcellino d'India che preparano fritto, e presentano intero e spiaccicato sul piatto (come Gatto Silvestro nei cartoni). Ci è bastato vederlo prima della cottura.

Ultima nota sulla coca: masticare le foglie o berne il mate, purtroppo non dà alcuna sensazione "creativa". Forse ci ha solo aiutate a tollerare bene l'altitudine. Nella tradizione locale le foglie di coca vengono usate anche per aromatizzare i dolci, preparare creme, scambiate in segno di rispetto e buonaugurio, e persino lanciate per predire il futuro (noi continuiamo a preferire l'oroscopo di Internazionale). Ad ogni modo, ce ne siamo dovute liberare prima di attraversare la frontiera cilena.


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domenica 21 ottobre 2007

Machu Picchu




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venerdì 19 ottobre 2007

QOSQO

L'antico nome della città rende bene la sensazione che si prova di essere qui al centro, forse perché Cusco si sviluppa in una conca circondata da montagne,

forse perché è popolata da gente che viene da tutto il mondo, e non solo da turisti e da cusqueñi, forse, più probabilmente, per l'imponenza delle vestigia Inka. Gli spagnoli qui hanno fatto danni, hanno depredato, distrutto e riutilizzato i giganteschi massi delle fortezze per costruire palazzi e chiese di nessun fascino, come la chiesa di Santo Domingo costruita sul maestoso Tempio del Sole, di cui rimangono poche tracce. L'insieme delle due architetture rappresenta la carattestica della Cusco di oggi, ma quello che davvero incanta è la perfezione degli incastri dei muri Inka. Ne è piena la città, ne sono pieni i dintorni, come la fortezza di Saqsaywaman con i suoi tre strati di mura gigantesche che attraversano a zigzag l'altipiano sopra la città. Durante una di queste visite abbiamo trovato divertente la lettura che gli Inka facevano della Via Lattea: anzichè identificare le costellazioni come raggruppamenti di stelle, attribuendo loro nomi mitologici come facciamo noi; vedevano delle immagini a loro familiari nelle zone scure della galassia: il pastore, il lama, la volpe...Purtroppo non abbiamo avuto l'emozione di vedere mai il cielo completamente azzurro. La caratteristica di queste giornate è stata la variabilità del clima. Possiamo dire, però, che anche qui le nuvole sono molto belle. Ci stiamo godendo alcuni giorni di relax, in una cameretta confortevole sui tetti della città, prima di affrontare la "montagna vecchia". E finalmente apprezziamo la dilatazione del tempo del nostro viaggio. Possiamo contare le settimane già trascorse, e sembrano tante, ma non quelle che mancano al ritorno. E organizzare il proprio viaggio così è davvero una bella sensazione mai provata prima.



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lunedì 15 ottobre 2007

Sillustani

Sillustani è un sito archeologico molto bello, a pochi kilometri da Puno. Ci sono le chullpas, grandi tombe Inka e pre-Inka di forma circolare che emergono dal terreno.

Qui venivano sepolti i capi della comunità, rinsecchiti e mummuficati in posizione fetale e fatti entrare attraverso la piccola apertura posta alla base del cilindro.
Il luogo è davvero bello, una penisola che di affaccia in un lago, in posizione sopraelevata, con niente intorno. Come avevamo già notato a Pachacamac, vicino Lima, questi Inka o pre-Inka che siano sapevano scegliere proprio bene i loro luoghi cerimoniali, vi si sente davvero un'energia particolare, data ovviamente dall'aria e dal paesaggio. La differenza tra le costruzioni Inka e quelle precedenti è notevole: la maestosità dei primi è inconfondibile.
Il 14 ottobre siamo partite alla volta di Cuzco. Il viaggio di 6 ore in pullman è stato funestato dalla trasmissione continua di film ad alto volume, sebbene fuori dal finestrino scorresse un paesaggio bello e mutevole.
All'arrivo abbiamo scoperto che l'albergo prenotato, nonostante l'edificio fosse molto carino, era freddo, la camera buia e riscaldata da una giara in cui brucia dell'alcool. Dopo la prima notte un po' gelida, siamo pronte per cambiare albergo.
Notizie su Cuzco e dintorni alla prossima.

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sabato 13 ottobre 2007

Il lago Titicaca

Il percorso in minivan da Chivay a Puno ci ha incantate con un paesaggio bellissimo. Abbiamo viaggiato per oltre 5 ore

attraversando altipiani e colline ricoperte da un solo tipo di vegetazione: un arbusto secco e giallo, nutrimento di lama, alpaca e vigogne, che nel corso del pomeriggio ha assunto tutte le tonalità dal giallo al marrone. Abbiamo fatto una breve sosta per vedere una laguna azzurrissima a 4000 mt, popolata di fenicotteri rosa, e siamo arrivate a Puno che era già buio. Ma già dalla mattina seguente abbiamo avuto l'impressione di una cittadina viva e dinamica come tutte le città di "mare". Siamo corse ad affacciarci sul lago Titicaca e, a dispetto di tutti i racconti, lo abbiamo trovato verde: ricoperto, nella parte della baia di Puno, da una mucillagine inquietante. Solo il giorno dopo, quando per andare su una delle isole, abbiamo attraversato una parte più aperta e profonda del lago, abbiamo visto il blu intenso che ci aspettavamo. La prima tappa della gita in barca è stata una delle 40 isole degli Uros: le famose isole galleggianti, fatte di totora, un tipo di canna che abbonda nella baia. Tappa sfiziosa e didattica: sembrava di essere dentro "Turisti per caso". Il pezzo forte della giornata è stato, dopo 3 ore di navigazione, l'arrivo a Taquile, un'isola "vera".E lì l'emozione è tutta nel contrasto tra ciò che la mente sa, ciò che gli occhi vedono e quello che il corpo sente.Sai di essere in un lago, a 3.800 mt di altitudine, e intorno a te ci sono le Ande; ma vedi un mare di acqua blu, un'isola un po' brulla e senza veicoli, altre isole e terre in lontananza, cielo azzurro e nuvole incantevoli (la grecia?); ma appena fai pochi passi su un sentiero senti un affanno innaturale, le vene del collo pulsare e la bocca asciutta. Tutte queste sensazioni insieme producono uno straniamento che ci ha molto divertite.Purtroppo sulle isole si arriva solo con i gruppi, i traghetti pubblici non sono praticabili e le infrastrutture d'accoglienza sulle isole quasi inesistenti. L'impressione sgradevole è che gli abitanti ti guardino solo come possibile acquirente di mercanzia.Ti sorridono, scambiano due parole con te e poi ti chiedono di comprare qualcosa o di dar loro una mancia. Bambini piccolissimi, che sembra abbiano imparato la parola "propina", mancia, prima ancora di dire "mamma", ti si accostano e ti sussurrano la loro incessante richiesta.Ultima noticina: il cielo sul Titicaca è davvero sempre in movimento. Anche quando sembra coperto, c'è qualche angolo azzurro; e i tramonti, dietro le colline di Puno sono sempre infuocati e con colori che le mie foto non sono capaci di rendere.

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mercoledì 10 ottobre 2007

La valle del Colca

Dopo aver verificato che gli alberghi di Chivay erano cooptati dalle agenzie turistiche, siamo state costrette e ripiegare su un tour organizzato per raggiungere la valle del Colca. L'agenzia ci ha prima tirato un pacco, costringendoci a rinviare di un giorno la partenza, poi ci ha piazzate su un pulmino un po' scalcagnato insieme ad altri 20 passeggeri. Il viaggio è durato 3 ore e, dopo aver aggirato due dei vulcani che circondano Arequipa, attraversato una riserva di vigogne,

ed effettuato una sosta per bere mate di coca, abbiamo raggiunto e superato un passo di 4910 mt. slm, prima di scendere ai 3650 mt di Chivay.
Grazie al mate e alle pallottoline di foglia di coca che abbiamo masticato lungo gran parte del viaggio, abbiamo retto bene all'altitudine: solo un po' di mal di testa avvicinandosi alla massima altezza e il cuore che batteva subito in gola appena fatta una rampa di scale.
Chivay è un paese di montagna: una plaza de Armas, una ventina di strade bianche o lastricate con approssimazione che si incrociano a scacchiera, case di un piano con tetto in lamiera. Dopo esserci sistemate in albergo e dopo una sauna e un bagno nelle piscine termali del paese, ci siamo sganciate dal gruppo, risparmiandoci la cena con gruppo folkloristico, e abbiamo passato la serata con una coppia di simpatici trentenni romani.
La mattinata seguente: sveglia alle 4,45; colazione alle 5,30; raccolta dei partecipanti all'escursione presso i vari alberghi; partenza per la valle alle 6,20; sosta a Yanque, il primo paesino della valle: in piazza musica tradizionale a palla e un gruppo di ragazzini in abiti locali che, prima che si faccia l'ora di andare a scuola, balla saltellando intorno alla fontana, circondati dalle bancarelle delle loro madri. Insieme a noi altri 6 o 7 pullman di turisti. Ci rimettiamo in marcia. Lungo la strada non asfaltata e molto pietrosa, i pullman di turisti si susseguono e si sorpassano a vicenda per sottrarsi al polverone sollevato da chi precede. La valle diventa davvero bella; più ampia, profonda, con terrazzamenti coltivati (andenes). Ad ogni punto di sosta panoramico, le venditrici cercano di attirare l'attenzione, declamano la loro mercanzia, e chiamano con insistenza.
Ho netta la sensazione che stiamo facendo una cosa assurda, che spero di non ripetere: attraversare frettolosamente villaggi che non hanno alcuna attrattiva eccetto le bancarelle messe lì apposta per noi, e bambini con lama e agnellini e cagnolini che ti chiedono se li vuoi fotografare, paesi che hanno cadenzato la loro vita e i loro ritmi su quest'onda continua di turisti che passano, solo a ore predefinite, per andare a vedere i condor.
La meta di tutti i pullman è un parcheggione e alcune piazzole affacciate sul canyon, che in questo punto ha la profondità di 1200 mt, mentre più avanti raggiunge i 3400, in cui aspettare la comparsa del condor. Ovviamente c'è tanta gente, tutti rivolti alla valle e tutti (me compresa) armati di macchina fotografica. I condor compaiono solitamente, ma non è mai sicuro, tra le 8 e le 9 del mattino, la nostra guida ci ha dato tempo fino alle 9,30.
Dopo un po' che si aspetta, passa un venditore di CD con foto e filmati del condor e della valle, nel caso il condor oggi non apparisse e non si volesse far brutta figura con parenti e amici... quasi quasi...
Niente, non succede niente e si è fatta l'ora di tornare al punto d'incontro; mentre percorriamo il sentiero, un "ohhh, ehi ehi ehi, aaah" ci avvisa che finalmente il condor è comparso. Ne passano tre, li vediamo da lontano, troppo lontano, sembrano grandi e sorvolano esattamente la piazzola dove eravamo noi fino a 10 minuti prima.
Il viaggio del ritorno, con sosta in "pueblo tipico" è altrettanto frenetica dell'andata: l'autista ha fretta di tornare, per pranzare e ripartire subito per Arequipa. Tornati a Chivay, ci sganciamo definitivamente dal gruppo. Ci fermiamo qui una notte di più per goderci un altro giro alle piscine di acqua termale, al mercato locale, che sembra davvero pittoresco, e infine il trasferimento a Puno, sul lago Titicaca.

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venerdì 5 ottobre 2007

Arequipa

Per arrivare ad Arequipa abbiamo sorvolato per un'ora un deserto roccioso e rossiccio di cui si intuivano appena i rilievi.
L'aeroporto assomiglia più a quello di un'isola greca che a quello di una città sudamericana. E questa impressione di essere su un'isola ci ha accompagnato spesso, nonostante i 2300 mt di altitudine. Qui però il confine non è il mare, ma la corona di cime e vulcani che ci circonda.

Il rosso polveroso di queste montagne, unito al bianco del sillar, la pietra con cui sono costruite le case, contribuisce a rendere l'aria un po' lattiginosa. Il clima è davvero molto secco; durante il giorno il sole riscalda con prepotenza e le serate ricordano la nostra primavera... quando da noi c'era ancora la primavera.
Camminare qui è piacevole, rilassante, nonostante il fiume giallo di taxi.
La città è facile come sono facili gli abitanti. E' più semplice entrare in contatto con le persone; i tassisti, i commercianti parlano volentieri, e sorridono.
Se non ci sembrasse troppo sfacciato vorremmo fermarci per strada e guardare uno per uno tutti i vecchi con le loro facce rinsecchite e rugose e i bambini fatti a pallina.
Ci sono molte donne in abiti tradizionali agli angoli delle strade, la maggior parte vende qualcosa, caramelle, frutta secca. Sembrano appena scese a valle dalle montagne che circondano la città, alcune vengono prese per mano da donne più giovani e aiutate ad attraversare le strade più trafficate.
Abbiamo deciso di proseguire il nostro itinerario andando verso il canyon del Colca, la principale attrazione della zona.
Scartati i tour organizzati che in due giorni vanno e vengono, e i trekking più azzardati, abbiamo deciso di partire sabato, usando il pullman di linea che in 3 ore, dopo aver superato un passo di 4800 mt, ci porterà a Chivay, il villaggio all'inizio della valle. Una volta lì decideremo quanto tempo fermarci e come proseguire. Le incognite principali sono la temperatura e la nostra adattabilità all'altitudine, per questa seconda evenienza nel nostro giro al mercato ci siamo rifornite di foglie di coca che bisogna masticare e tenere in bocca.

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lunedì 1 ottobre 2007

Lima

Lima è una città orizzontale, a differenza di quelle brasiliane che si sviluppano verticalmente.
Qui la maggior parte delle abitazioni è alta un paio di piani, la città è molto estesa, e la mobilità è garantita da pochi autobus di linea e da una moltitudine di taxi e "carros", cioè minibus.
I tassisti

non hanno licenza, chiunque può comprare una macchinetta di terza o quarta mano e farne taxi; ovviamente senza tassametro. Il prezzo va concordato prima di salire, cosa non facilissima per un turista che non ha idea delle distanze e delle tariffe adeguate. Finora a contrattare per noi sono stati il portiere di un museo e l'usciere di un albergo che, dopo essere andato a piedi a chiamare il taxi (una ford sgarrupata di cui era rimasto quasi solo il telaio), ha voluto sapere esattamente dove eravamo dirette per indicare al tassista il percorso e la tariffa.
Anche sui minibus la tariffa è soggetta a "oscillazioni", normalmente è di 1 sol, come ci ha detto una passeggera a cui avevamo chiesto indicazioni, ripetendoci accoratamente che avremmo dovuto pagare 1 sol e non di più.
I minibus sono vecchi pulmini da 15-20 posti variamente ritoccati per adattarli alla nuova funzione. A bordo: l'autista e il suo aiutante, il quale viaggia in piedi sul predellino del veicolo, sporto fuori ed emette fischi, versi e richiami, ripetendo il nome delle vie persorse dal mezzo: "aricaaricaaricaarequipaarequipaarequipachorillochorillo".
Due delle tre corsie di cui sono composte le arterie principali della città sono intasate da questi furgoncini che fermano dove ci sono potenziali clienti e si rincorrono anticipandosi l'un l'altro per soffiarsi a vicenda i passeggeri.
Appena un pedone manifesta un vago interesse per la destinazione ripetuta dall'accaparratore di clienti, costui lo invita a salire, cioè lo artiglia e lo spinge letteralmente dentro al "carro". Sarà una coincidenza linguistica, ma il nome è davvero adatto al mezzo. Il tutto avviene molto rapidamente per consentire al maggior numero di passeggeri di salire per poi ripartire in fretta, prima che i pulmini che seguono inizino a strombazzare. Dopo aver fatto il pieno di passeggeri, mentre il pulmino sfreccia e zig-zaga nel traffico, l'aiutante passa a riscuotere il prezzo del biglietto. Naturalmente si viaggia con lo sportello quasi sempre aperto a causa del saliscendi continuo di passeggeri, e questo non sarebbe neanche spiacevole se la città non fosse soffocata da una cappa di umidità polverosa e avvelenata dagli scarichi particolarmente inquinanti degli stessi pulmini. Più che un viaggio, un aereosol al piombo (e molto altro) allietato da sobbalzi e brusche frenate.
Quando devi scendere, il "bigliettaio" fa cenno all'autista, il quale, se riesce, accosta a destra, rallenta, spesso senza fermarsi del tutto, e ripetendo "abajoabajoabajo" ti invita a scendere ancora più rapidamente di quando sei salito, giacché adesso devi solo saltare giù. E uff... una volta a terra, puoi solo tirare un sospiro di sollievo per essere ancora viva... ma senza inspirare troppo profondamente perché l'aria fa veramente schifo.

La sintesi di Felix
- 3 o 4 persone aspettano su un marciapiede
- arrivano alcuni pulmini
- accostano e pronunciando i nomi delle strade si fermano (sembra che vendano qualcosa)
- sali, se trovi posto ti siedi, un po' a disagio perché sembrano i seggiolini dell'asilo
- artigli mani e piedi per non cadere mentre il mezzo "scappa"
- se non puoi sederti, preghi
- per 10 minuti sei come narcotizzato
- per i restanti 30 pensi al senso della vita
- scendi, se possibile, qualche fermata prima
- fuori non sei salvo, ci sono intorno a te decine e decine di pulmini che ti chiamano e ti invitano a salire.

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sabato 29 settembre 2007

Ora che sono comodamente seduta in camera, come a casa, scrivo.
La fase aerea è finita; siamo riposate, rinfrancate e nello stato d'animo bello.
Il Perù "colorato" che avevo in testa non c'è,


Lima della mia cartina geografica è stata una sorpresa.
La mancanza di luce solare, a maggior ragione provenendo dal Brasile, fa si che mi sembri di essere passata dal colore al bianco e nero.
I limeñi mi piacciono, tutti, anche quelli brutti che se fossero italiani non li guarderei con tanta simpatia.
Hanno delle belle mani, i capelli e tutti i peli di un nero lucido, quando i denti sono bianchi sono luminosi e sorridono, sopratutto le donne, con grazia
Forse me li sto guardando così bene perchè sono della mia statura.
Lima non mi piace perchè è assediata dalle automobili, anche la città in cui vivo lo è ma lì mi so difendere.
Stamattina, mentre raggiungevo il centro in autobus (cioè un furgoncino che potrebbe trasportare attrezzi),
mi sono ricordata del tunnel di Fuorigrotta. Vivono tutto il giorno là sotto!
Da domani musei. Penso che qui possiamo vedere i pezzi più belli delle loro culture, altrimenti che capitale è.
f.

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venerdì 28 settembre 2007

Dal sertao alle Ande

23 giorni dopo la nostra partenza da Milano, quando durante le normali vacanze si comincia a pensare al ritorno, noi siamo partire per cominciare un nuovo viaggio.
Le 30 ore di spostamento ci hanno proiettate dalla costa atlantica brasiliana, calda e ventosa a quella pacifica, fredda e umida della città di Lima. Delle due giornate di viaggio è degno di nota il commento di Felix quando, durante il volo Santiago-Lima, da una fitta pianura di nubi sono emerse le Ande:

"Però... sono un casino!", nel senso di tante. Un commento alla De Amicis!
In effetti, a vederle dall'alto, non sembra di trovarsi davanti a una catena montuosa, ma a un vero e proprio mare di montagne, con vette che si susseguono a perdita d'occhio. Andando verso nord, i coni vulcanici sembrano meno alti, la catena montuosa si fa altopiano, e le cime da nevose che erano, assumono le diverse sfumature del marrone.
Dall'alto sono emozionanti, le vedremo nelle prossime settimane anche da vicino.
A Lima, dopo aver resistito agli insistenti inviti dei tassisti all'aeroporto, abbiamo scelto un taxi ufficiale da pagare in aeroporto. Questo non ci ha risparmiato i richiami e gli inviti dei concorrenti. Pedro, dopo averci abilmente "scippate" a un collega, ha parlato senza sosta per tutto il percorso illustrandoci i quartieri della città che andavamo attraversando e proponendosi come guida per i giorni seguenti. E' stato come essere costrette a fare le turiste mentre volevamo solo andare a dormire.
Del cielo di Lima ho già detto. Qui siamo in primavera ma, come ci hanno confermato alcuni limeñi, il cielo rimane invariato per 11 mesi all'anno. Tra gennaio e febbraio può capitare che il grigio si schiarisca diventando un celestino pallido.
Oggi, dopo il trasferimento in un albergo più lussuoso e soprattutto più caldo, abbiamo visitato la Huaca Pucllana. Il sito archeologico pre-inca è all'interno del quartiere di Miraflores, dove alloggiamo, ed era luogo di cerimonie religiose e sacrifici umani. La piramide è frutto della stratificazione di edifici di epoche diverse. La visita è stata resa più interessante dalla guida che ci accompagnava e che era ben contenta di esercitare il suo italiano. I resti si presentano come lunghe e alte pareti di mattoni disposti in verticale. Sembrava di essere davanti a una grande libreria e per noi, in crisi di astinenza da 25 giorni, è stato davvero un colpo basso. Quando poi abbiamo incontrato una libreria internazionale, abbiamo capitolato e, dopo una lunga trattativa, valutando peso, numero di pagine, argomento, abbiamo comprato un Einaudi tascabile che nessuna delle due aveva ancora letto, e in onore al Peru abbiamo scelto "I quaderni di don Rigoberto" di Mario Vargas LLosa.
Adesso la sfida sarà decidere chi inizierà per prima a leggerlo per prima... probabilmente lo faremo in contemporanea usando segnalibri differenti. Vi terremo aggiornati.
Attraversando le strade affollate e trafficate di Miraflores, siamo andate finalmente a vedere l'oceano. Abbiamo avuto l'impressione che se Milano avesse il mare... sarebbe così. Ad ogni modo abbiamo avuto davanti agli occhi paesaggi e umanità molto diverse da quelle brasiliane di un paio di giorni fa.

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lunedì 24 settembre 2007

Recife è una città grande e si sviluppa su isole e penisole create dal delta del fiume Capibaribe e da numerosi affluenti e canali, spesso maleodoranti. Recife antigo, il centro storico,

è grazioso, abbastanza ben conservato ma, come gran parte della città, popolato da disperati. Boa Viagem, la parte più moderna, affollata da grattacieli residenziali (quella in cui abbiamo alloggiato) è accessibile attraverso ponti e cavalcavia che passano sui tetti di baracche e palafitte. La vita commerciale del quartiere si sviluppa lungo due grandi arterie in cui il traffico e lo smog non invogliano a passeggiare. Il lungomare, come in tutte le città costiere brasiliane, è la parte migliore; la mattina e la sera è percorso da gente che corre o cammina e, se non fosse per lo stradone a tre corsie e il traffico incessante che lo costeggia, sarebbe un luogo gradevole nonostante i grattacieli.

Anche la gita a Olinda, la cittadina famosa per l'architettura coloniale, è stata un po' deludente: per vedere casette portoghesi colorate e stradine acciottolate è decisamente più piacevole andare in Portogallo. Insomma, questa parte del Nordeste non ci è piaciuta e, nonostante i deliziosi frullati di açai e di guaranà, abbiamo deciso di andare via. Forse, come dice Beatrice dalla Svizzera, perché non siamo andate a Pipa; forse come dice Pierpaolo perché non si torna mai dove si è già stati, forse perché abbiamo bisogno di paesaggi più ignoti e stimolanti, abbiamo deciso di lasciare il Brasile, sentendone la nostalgia fin da subito. Oggi abbiamo comprato il volo per Rio, anticipato quello per Lima, e il 26 settembre saremo in Perù. I prossimi aggiornamenti da Lima.


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domenica 23 settembre 2007

Quiz e Joao Pessoa

Innanzitutto, la soluzione al quiz.
Ahi ahi ahi... Svizzera batte Italia 1 a 0! Pero´ a Beatrice niente souvenir... lei ci viene troppo spesso e poi conosceva gia´ l´oggetto misterioso. Insomma, quelle nella foto sono fette di canna da zucchero pelata (con la corteccia della canna sono stati fatti gli stecchetti). Un vecchietto, sul lungomare di Tambaù, preparava i graziosi mazzolini e li vendeva per 2R$. Ovviamente si mangia. Non avremmo mica speso tutti quei soldi per una decorazione...Appena addentata, la canna emette un liquido non così dolce come ci si potrebbe immaginare, ma molto aromatico, simile alla polpa del cocco (come siamo abituati a mangiarlo in Italia). Quello che resta, dopo aver succhiato il succo, è una fibra secca e stopposa (io l'ho sputata, ma non sono sicura che si faccia così). A Felix non è piaciuto tanto, a me sì :-)


Joao Pessoa, come sapevamo, è davvero una città tranquilla. Il centro cittadino è piccolo e caotico. Un paio di strade sono costeggiate da edifici bassi in stile coloniale dai colori sgargianti, il resto sono strade trafficate da automobili, bus e venditori. Non abbiamo mancato, come suggerito da guide e info turistiche, il tramonto a Jacarè, una spiaggia sul fiume che costeggia la città. Arrivarci non è stato semplice: prima un bus per un Ipermercato fuori città, di là un secondo autobus che ci ha lasciate lungo una specie di tangenziale con 3 corsie e spartitraffico, il cui attraversamento è stato una specie di roulette russa (ma ce l'abbiamo fatta).Poi, all'altezza di una stazione di servizio, una stradina abbastanza deserta di cui non si vede la fine, attraversata dai binari di una ferrovia extraurbana.Tutto ciò alle 4,30 mentre il sole cominciava a calare. Qui il tramonto è alle 5 e il buio, come in prossimità dell'equatore, cala rapidamente.Un po' preoccupate per il ritorno che immaginavamo al buio, abbiamo camminato per 20 minuti prima di arrivare in prossimità di un ampio parcheggio con macchine, bus gran turismo, ristoranti e negozi lungo un viale (da noi ribattezzati "del tramonto"), dove una folla di turisti e gruppi di pensionati aspettava che il sole tramontasse. A pochi minuti dall'evento, dai bar i musicisti hanno cominciato a suonare il Bolero di Ravel, per creare "atmosfera". Però ogni musicista iniziava il pezzo in momenti diversi. Il risultato è stato un gran Casino di Ravel che però abbiamo seguito fino alla fine. Poi il giusto il tempo di qualche foto per Rosanna e via di corsa, in taxi, verso il ritorno. Il tassista ci ha confermato che quel giorno c'era poca gente... era lunedì, ma nel fine settimana sì, si anima davvero... Aiuto!
Il giorno dopo: gita a Campina Grande, città dell'interno in cui la nostra missione era trovare il più grande mercato del nordeste. Del mercato, eccetto qualche bancarella di frutta e verdura, nessuno sapeva niente; in compenso il viaggio di 2 ore per arrivarci è stato interessante.La zona verde e boscosa della fascia costiera, chilometro dopo chilometro, cedeva il posto a vegetazione più bassa e ad arbusti, fino a diventare sertao.Pochi i villaggi lungo la strada, qualche fazenda e mucche ossute al pascolo. Lite con il controllore di un autobus cittadino che si è molto arrabbiato perché, non riuscendo a passare, avevo fatto fare un giro in più al tornello.Ha preteso, sgarbatamente, che pagassi il biglietto in più che viene conteggiato dal giro di tornello. Io ho pagato, ma ho continuato a battibeccare pretendendo almeno gentilezza.In queste situazioni Felix si agita, io invece mi diverto e voglio l'ultima parola... mi va bene, finché i controllori non sono armati!
Ora siamo a Recife, capitale del Pernambuco. Ci stiamo ancora guardando intorno per capire dove andare, giacché la città non sembra meritare la nostra presenza. Ci impiegheremo i nostri soliti 4 o 5 giorni per andar via; nel frattempo vi racconteremo com'è la città.



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giovedì 20 settembre 2007

Cartoline

Per iniziare...

Per EZIO:
Hai visto qui i ciclisti come tirano a campare? Fossi in te, ci farei un pensierino.
(P.S. E' arrivato anche l'altro commento, però segnala quelli che non vuoi che siano pubblicati ;-) e non dimenticare di firmarli!


Per ROSANNA:
Certo, lo sappiamo, i tramonti di Ischia sono imbattibili... ma anche questo non era male.


Per ANTO:
Le viste dalle nostre camere d'albergo non sono mai spettacolari. Questa è quella di Joao Pessoa.


Per chi è a dieta...

E infine... Paratodos (che in Brasile indica il banco della lotteria) IL QUIZ!
Il primo che indovina il soggetto di queste ultime due foto... riceverà in regalo un indimenticabile souvenir do Brasil.
Di che si tratta?

Saluti e baci.
Alla prossima.




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domenica 16 settembre 2007

Prime impressioni di Joao Pessoa

Ci avevate lasciate in partenza per Joao Pessoa. Di questa città sapevamo che era "mujto tranquilla" e la nostra guida aggiungeva: "ingiustamente trascurata dai turisti". Poiché noi amiamo a priori tutto ciò che è "ingiustamente trascurato", già due anni fa avevamo in programma di passarci, e questa volta siamo riuscite a farlo.

Il viaggio in autobus è stato relativamente breve (3h) e confortevole, funestato solo dall'aria condizionata potente, che ha richiesto una copertura integrale. Dal finestrino, oltre ai lavori continui per l'ampliamento della strada statale, scorreva una campagna fatta di terra rossa, con tutte le sfumature, e piantagioni di cocchi e canna da zucchero.
L'impressione iniziale della città è stata abbastanza deludente: l'impiegata del turismo che parlava come un disco registrato, adolescenti scalzi e malconci che chiedevano soldi appena fuori dalla Rodoviaria, il tassista a metà tra lo scontroso e l'autistico, e infine l'albergo: mal tenuto e posto nella zona peggiore del quartiere, molto gradevole, dove alloggiamo: Tambau'.
Il giorno dopo abbiamo battuto Tambù e la vicina spiaggia di Cabo Branco alla ricerca di una sistemazione migliore, constatando che l'edilizia turistica degli ultimi 30 anni, di cui i pessoani vanno tanto fieri, anche perché ha un po' risollevato le sorti economiche di una regione povera, ha prodotto una sequenza di edifici di 2 o 3 piani, a forma di cubo, piastrellati di bianco all'esterno, senza balconi, anche quelli fronte mare, e con finestrelle scorrevoli. Tra tutti, alla fine abbiamo scelto un albergo con una stanza più grande e molto ariosa, appena meglio degli altri. Ci è venuto il dubbio che alla fine di questa vacanza finiremo per rivalutare i grattacieli che deturpano spesso le spiagge cittadine.
I giri in città ci hanno confermato che Joao Pessoa è davvero molto tranquilla, poco orientata al turismo e quindi più autentica; è frequentata soprattutto da turisti brasiliani, tant'è che nessuno, nella reception degli alberghi, parla inglese. Ce la siamo dovuta cavare con il mio ita-gnol-ghese, una specie di esperanto neolatino che raggiunge lo scopo.
Oltre ad alcune attrattive in città e lungo la costa che scopriremo nei prossimi giorni, Joao Pessoa sembra una cittadina in cui semplicemente "stare", e nella quale la nostra principale attività potrà essere quella di osservare i brasiliani vivere; che è uno dei motivi per cui siamo tornate in questo paese.

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mercoledì 12 settembre 2007

Oggi gita a Pirangi do Norte, per vedere il cajueiro più grande del mondo. Il caju è il frutto simbolo del Nordeste. La polpa si mangia e il nocciolo altro non è che l'anacardo.o

Dall'onibus abbiamo cominciato a ritrovare il Nordeste che ci piace: casette basse dai colori vivaci che costeggiano le strade, insegne dipinte direttamente sulle pareti delle case, i coquerinos, cioè le piantagioni di cocchi, e le persone che camminano lungo le strade tra un paese e l'altro.
L'albero di Pirangi è da Guinness: un unico albero principale i cui rami, poggiandosi a terra, hanno messo radici.
Abbiamo onorato il caju pasteggiando con peixe frito ao molho de caju e bevendo, ovviamente, sucos de caju. Che dire: ottimo. Le foto lo testimoniano.
La camminata del ritorno, prima in paese, poi lungo la strada tra Pirangi e Cotovelo, ci ha riconciliato con il Rio Grande do Norte dopo la passeggiata di ieri lungo la spiaggia battuta costantemente dal vento e quella del giorno prima in città.
Domani partiamo per Joao Pessoa.

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lunedì 10 settembre 2007

Arrivare nella pensione hippie, sederci sul terrazzino, scambiare due parole con le persone che lavorano qui ci ha fatto sentire subito più a nostro agio rispetto agli alberghi frequentati finora. Finalmente possiamo entrare e uscire senza nessuno che si precipiti ad aprirci la porta.

L'autobus per la Rodoviaria Nova attraversa per 50 minuti la periferia di Natal. I quartieri residenziali si trasformano via via in baracche, lungo le strade carretti trainati da uomini o animali.
La Rodoviaria è davvero molto scarna di informazioni e servizi. Riprendiamo un autobus verso il centro. La Citade Alta non è che poche vie commerciali, e subito, appena svoltato l'angolo: bancarelle di cd, locali bui con slot machine, gente un po' disperata e self-service in cui si pranza con 1 Real (davvero troppo poco anche per gli standard brasiliani).
Anche il nostro pranzo è stato deludente. Una salsa al "frango" che, appena arriva nello stomaco, fa sentire il suo effetto esplosivo.
Le 2 ore di camminata sotto il sole cocente riescono a stento a smorzarne gli effetti.
Il tentativo di raggiungere le praias cittadine si rivela infelice. Ci ritroviamo nella zona del porto, costeggiamo prima il mercato del pesce, sotto gli sguardi attenti degli abitanti del quartiere, poi un lungo viale: da un lato le casette dei soldati nel comprensorio militare, dall'altra case basse recintate e poi baracche. Sono le 2 del pomeriggio, in giro non c'è nessuno e il nostro passo si fa veloce.
Quando finalmente arriviamo alle spiagge, constatiamo che sono davvero squallide, sporche e affollate. Per rientrare costeggiamo il Parque das Dunas in direzione Ponta Negra, che il giro in città ci ha costretto a rivalutare.

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domenica 9 settembre 2007

Sveglia alle 6, come tutti gli altri giorni. Il sole è già sorto da quasi un'ora, il lungomare è già percorso da gente che corre o cammina di buon passo, i banchetti sulla spiaggia stanno già disponendo sdraio e ombrelloni. Si vede che è domenica.

La spiaggia è lunga, punteggiata da alberghi; sulla destra, ricoperta dalla vegetazione, la duna. Al centro, una grande lingua di sabbia gialla, scivola direttamente nel mare.
La mattina la marea è ancora molto bassa, le onde sono lontane dalla riva, e il bagnasciuga umido manda riflessi argentati.
Prima di cambiare albergo, abbiamo dedicato la mattinata alla ricerca di una pensione per i prossimi giorni. Ne abbiamo viste alcune lungo la spiagga ma abbiamo scoperto che, nonostante il periodo di bassa stagione, molte erano piene.
Alle 11, cotte dalle 3 ore di camminata sotto il sole, e frastornate dal vento che soffia incessantemente nel Nordeste, siamo rientrate in albergo. Nel nuovo albergo ci hanno dato una camera di livello superiore (farà parte del risarcimento?). La stanza è confertevole, balconcino con vista mare, spiaggia, duna e palme. Da qui si sente: il fragore delle onde (nel frattempo la marea è salita e le onde sono a ridosso della fila di ombrelloni), il soffio del vento, il cinguettio degli uccelli, le urla di chi salta tra le onde e quelle di chi gioca in piscina.
Nel pomeriggio poi ne abbiamo disdetto la prenotazione fatta la mattina e scelto un'altra pousasa molto più hippie, con arredamento in bamboo, amaca sul balcone e decori floreali e soprattutto... collegamento wireless gratis a disposizione...
Abbiamo appurato che Ponta Grossa non ha altro che il mare. Non esiste un paese, un posto per camminare che non sia la spiaggia. I posti così non ci piacciono molto: stiamo già organizzando le prossime escursioni.

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sabato 8 settembre 2007

Verso il nordeste

Il compleanno di Felix l'abbiamo festeggiato in aereo, brindando con succo di goyaba e maracuja e salatini. Niente di che, ma la giornata è stata dedicata al trasferimento verso Natal, nello stato di Rio Grande do Norte.

-Quasi quattro ore di volo, con scalo, e poco prima delle 17, il sole stava già tramontando, eravamo sul taxi dirette all'hotel che avevamo prenotato via internet, da Milano, così da garantirci l'arrivo e le prime due notti comode.
Il paesaggio intorno all'aeroporto ci ha ricordato quello del Cearà, piatto, vegetazione ed edifici bassi, terra rossa e pessoas dalla tipica faccia nordestita.
Arrivate in albergo, Simeia, la receptionist, ci ha informate che, a causa di problemi con i voli e bla bla bla un gruppo avrebbe liberato le camere solo verso mezzanotte; in alternativa all'attesa ci ha chiesto di alloggiare in un albergo poco lontano, per trasferirci qui domattina. Di fronte alla nostra aria molto seccata, ci ha proposto come risarcimento la possibilità di cenare gratis entrambe le sere, ospiti dell'hotel. Proposta immediatamente accettata. E' quello che ci voleva per dare un fiato alle nostre finanze un po' provate dal soggiorno a Rio.
L'albergo sostitutivo si chiama Esmeralda (!), di proprietà italiana, come molti qui, è di buon livello, ma un po' troppo da gruppi organizzati, stile casa di riposo per ricchi.
Alle 19, stanche e affamate, abbiamo riscosso l'obolo, andando a cenare nel "nostro" albergo.
Ponta Grossa, il posto in cui siamo ci sembra particolare. E' appena fuori la città di Natal, dove una duna molto alta circonda un'ampia insenatura. Lungo questa duna sono stati costruiti hotel, pousadas e ristoranti. La spiagga, di sera, è illumitata da fari, e si vede bene il bagnasciuga reso profondo dalla bassa marea. La passeggiata pedonale che percorriamo è costeggiata da palme e abbastanza deserta. Domani, con la luce, capiremo meglio dove siamo capitate.

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La giornata è cominciata con il mio primo danno.

A colazione, nel tentativo di versarmi del succo di ananas, che forma in cima una specie di schiuma molto densa, come un tappo, ho rovesciato metà brocca sul bancone, per terra, sui miei pantaloni, camicia, scarpe. Tutto il personale del ristorante, sentito lo scroscio, è accorso. Loro hanno ripulito il tutto, io, desolata e profumata di ananas, ho proseguito la mia colazione, prima di tornare in camera a fare il bucato. A questo proposito, la bacinella pieghevole che avevamo comprato si sta rivelando molto utile.Alle 8,30 eravamo pronte per prendere un autobus dirette a Barra da Tijuca, l'ultimo quartiere di Rio verso sud. Le strade erano vuote e ciò nonostante, ci abbiamo impegato un'ora di folle corsa. Se Copacabana, con i suoi 4 chilometri sembra grande, la praia di Barra che si estende per ben 16 chilometri, è infinita, non se ne vede la fine, e la macchina fotografica non ha la profondità di campo necessaria per renderle giustizia. Barra è meno suggestiva delle spiagge cittadine, il paesaggio è più piatto, ma vi assicuro che trovarsi su una spiaggia tanto lunga, uniformemente gremita di persone (oggi è festa nazionale) è un bel colpo d'occhio.Proprio qui, insieme a migliaia di carioca, ho fatto il primo bagno della stagione e ho sentito la potenza di questo mare. E mentre io, che perfino con l'acqua che arrivava al ginocchio resistevo a fatica alle onde e ancor più alla risacca, decine di surfisti di ogni età si lanciavano sulla cresta delle onde più grandi.In conclusione: oggi abbiamo dato il colpo di grazia al pallore delle nostre facce e siamo pronte per cominciare la vacanza: domani si parte per il Nordeste.

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venerdì 7 settembre 2007

Innanzitutto grazie per la vostra partecipazione, per i commenti che ci mandate e per gli sforzi che alcuni di voi stanno facendo per superare le difficoltà della tecnologia.E' bello sapere che, attraverso questo blog, stiamo raggiungendo l'obiettivo che ci eravamo prefisse: fare partecipare un po' anche voi al nostro viaggio.Anzi, a pensarci bene, al ritorno dovremmo fare una colletta per farvi "compartecipare" anche alle spese di viaggio, oltre che alle emozioni. E questo vale per quelli di voi che pensano di viaggiare gratis ;-)

La giornata, dopo le emozioni di ieri, è stata abbastanza loffia.La mattina abbiamo fatto una passeggiata verso il centro dirette al Museu Historico Nacinal. Abbiamo attraversato alcuni quartieri popolari e poi il solito caos frenetico delle vie del centro, quelle degli uffici, dei grattacieli e del caos delle grandi metropoli. Il museo era davvero scarso. L'unica sezione interessante è quella dedicata alle popolazioni indie. La giornata è stata calda (35°) e la sosta in albergo ci ha risparmiato le ore più roventi.Nel pomeriggio una passeggiata nelle vie commerciali alle spalle di Copacabana e Ipanema. La città inizia a svuotarsi per il lungo week-end. Il 7 settembre, infatti, è la giornata dell'Indipedenza: previste code in uscita dalle città in direzione spiagge e selve.


QUELLO CHE STIAMO MANGIANDO.Colazione a base di frutta: melone, mango, mamao (quella che noi chiamiamo papaia!), abacaxi (ananas) e succhi di laranja (arancia), di melone, ananas, mamao. Eventualmente yoghurt con cereali. Prosegue poi con la sezione salata: un panino con prosciutto e formaggio a scelta fra molti tipi e talvolta uova strapazzate con pancetta abbrustolita.
Pranzo: nei self-service a Kilo, ci sono due o tre banconi con vassoi di: arroz (riso) blanco, con verdure, broccoli, legumi; carne di frango (pollo) e boe (manzo) con sughi e verdure; purè, patate, zuppe di legumi, verdura e frutta alla "milanesa", cioè fritta. Si prende il piatto e si riempie con i cibi e le quantità desiderate. Un modo molto civile di fare una pausa pranzo economica e veloce, soprattutto se confrontata con i panini e i piattini pronti dei bar di Milano. Ciò che non manca mai sulle tavole brasiliane è la farofa, farina di tapioca, o mandioca, lavorata a grana grossa e speziata, che si usa a complemento per ogni piatto, come noi usiamo il parmigiano.
Cena tipicamente a base di carne, riso, qualche contorno fritto, e l'immancabile chopp (che si pronuncia "sciopi") che altro non è che birra alla spina, spesso "estupidamente" gelata. Le porzioni sono molto abbondanti e, dopo qualche abbuffata, abbiamo capito che dobbiamo ordinare un solo piatto, più che sufficiente per entrambe.
Insomma, chi temeva che in questo viaggio saremmo dimagrite, può star tranquillo...


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giovedì 6 settembre 2007

In città

Per muoverci stiamo usando i mezzi pubblici: bus e metro. Entrambi funzionano, sono frequenti e ce ne sono tanti per ogni

destinazione. Gli autisti degli autobus guidano in modo indicibile: corrono come matti, frenano bruscamente, si fermano su richiesta passando repentinamente dalla seconda corsia di sorpasso alla fermata. Se la scena vista da terra è impressionante, e ogni volta sembra che auto-moto-ciclisti si salvino per miracolo, il bello viene quando sull'autobus ci sei tu. Non basta stare ben piantati a gambe larghe mantenendosi con ambo le mani per evitare di barcollare, anche da seduti bisogna reggersi forte per non precipitare sul vicino.
Ogni volta che scendiamo da un autobus abbiamo bisogno di qualche istante di immobilità per recuperare la nostra centratura verticale.
Oggi, superata la prima corsa in autobus della mattina, siamo state "alle spiagge".
Di Copacabama e Ipanema non dirò niente. Perché in verità non saprei cosa aggiungere a quello che si vede nelle foto. Solo che il fragore costante delle onde che si infrangono sulla battigia sembra una percussione regolare che dà il ritmo alla città.
Le spiagge sono percorse da carioca di ogni tipo ed età che camminano, corrono, fanno ginnastica; e da venditori ambulanti che propongono senza insistere la loro merce.
A Ipanema a un tratto, vicino alla riva, abbiamo visto volare per aria decine di palloni: erano gruppi di ragazzi che, disposti in circolo, palleggiavano.
Prima di rientrare in albergo, abbiamo deciso di andare sul Pan di zucchero per vedere il tramonto sulla città. La collina separa la baia di Guanabara dall'oceano, si raggiunge per mezzo di due teleferiche, e offre una vista spettacolare. La varietà di questo paesaggio che alterna strati di colline a baie, foreste tropicali a favelas e a grattacieli ci hai emozionate ancora una volta. Non eravamo le sole, a giudicare da quante persone erano con noi sul belvedere del Pao de Azuçar.

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martedì 4 settembre 2007

Abbiamo deciso di rimanere qui

Non preoccupatevi, intendevo dire, qui, in questo albergo. Infatti il programma iniziale era di fermarsi qui un paio di notti e poi cercare un albergo più economico.Ma quando ci si abitua alle comodità: alla doccia spaziale, alla colazione da urlo, alla vista sul Parque do Catete... è difficile rinunciarvi. Anche perché non sapendo cosa ci riserva il futuro, abbiamo deciso di godere adesso. E Rio è davvero il posto giusto! Oggi la giornata

era splendida e abbiamo deciso di andare a Niteroi, la città che si trova di fronte a Rio nella baia di Guanabara. Il collegamento viene garantito da traghetti affollatissimi che svolgono in realtà funzione di metropolitana sull'acqua. Il percorso è durato solo 10 minuti; speravamo durasse più a lungo perché vedere la città di Rio dal mare è uno di quei piaceri da gustarsi a fondo.Le due attrazioni di Niteroi, infatti, sono la vista sulla baia e il Museu de Arte Contemporanea disegnato dall'architetto Oscar Niemeyer.Le opere che il museo ospita non valgono la visita, ma l'edificio è davvero curioso. Ha forma di astronave e sembra appoggiato su un promontorio che si affaccia sul mare. L'edificio ha una sua spettacolarità e davvero in ogni altro luogo ci avrebbe divertite. Ma qui, con lo spettacolo offerto dalla natura di questa baia, tutto il resto scompare.Il nostro giro è proseguito con il tentativo di raggiungere un altro punto d'osservazione eccezionale, la Fortaleza de Santa Cruz. Il bus cittadino, dopo aver costeggiato le belle spiagge di fronte a Rio, ci ha lasciate in un angolo della periferia di Niteroi. Avremmo dovuto proseguire a piedi per raggiungere il Forte. Ma non c'è venuta voglia di addentrarci nei vicoli un po' desolati di Jurujuba e abbiamo rinunciato al nuovo panorama.Rientrando a Rio ci siamo immerse nell'umanità sciamante lungo le vie del centro, nell'odore di cibo che fuoriesce dai "Launchonete" (l'equivalente delle trattorie popolari) nel traffico e nel forte odore di etanolo emesso dai tubi di scarico delle automobili, nella musica dei venditori di cd. L'insieme ci ha un po' ubriacate. Quindi pausa in albergo prima di cena.

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Finalmente siamo partite...

... e il bello e´ che siamo anche arrivate!
Tutto è andato secondo le previsioni: la sera prima della partenza abbiamo dormito poco, il volo per Rio è stato lungo ma sopportabile. All'arrivo abbiamo fatto

un'ora di coda per il controllo passaporti; poi un'ora di attesa per il "frescao", il bus speciale con "ar condicionado" che costeggia le spiagge e ferma su richiesta. Siamo arrivate in hotel alle 22 ora locale (in Italia erano le 3 di notte). Eravamo stanchissime ma, per essere in piedi da quasi 24 ore, ce la siamo cavata bene.Stamattina abbiamo fatto un giro per Catete, il quartiere di Rio dove alloggiamo, e dove già eravamo state due anni fa. Ci era piaciuto per essere un quartiere normale, dove i carioca abitano e lavorano. Turisti ne vedi meno che nelle favelas. Incredibile! Era come essere tornate a casa: un susseguirsi di ricordi.Siamo contente che il nostro lungo viaggio sia ripartito proprio da qui.Abbiamo pranzato in una "comida al Kilo"; una delle scelte migliori: si spende abbastanza poco (13€ in due), si mangia bene, niente turisti, solo impiegati in pausa pranzo. Il cielo è un po'bianco, ma la temperatura è estiva; nel pomeriggio, dopo tanta fatica: riposo!Appena siamo partite, tutta la tensione dei giorni scorsi si è sciolta. Sono finalmente riuscita a vedere questo viaggio non nella sua interezza, impresa peraltro molto difficile, come avevo fatto finora mentre lo stavamo organizzando, ma nella sua sequenzialità. Sono in Brasile, sono contenta, me lo voglio godere tutto e mi sento nello stato d'animo giusto per riuscirci. Alla prossima tappa penserò dopo. E' tutto. Boa tarde a todos.

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sabato 1 settembre 2007

- 18... ore

Forse qualcuno si sarà domandato come ci si sente a 18 ore dalla partenza...
Si è emozionati? Preoccupati? Confusi? Pronti? Affannati? Contenti?

Bene, sappiate che ci si sente addosso tutto questo e altro ancora.
Ad esempio, io sento un lieve tremore che parte dallo sterno e scende attraverso lo stomaco, l'intestino, fino ad arrivare alle gambe. Qualcuno potrà pensare si tratti di paura... a me piace credere che sia "l'andare" che finalmente, dopo giorni passati a preparare (il bagaglio, i documenti, la casa) si è finalmente installato nel mio corpo. Sono pronta per andare.
Felix da stamattina si è fatta seria.
A lei, "l'andare" l'ha fatta diventare veloce, efficiente, dritta alla meta non ammette distrazioni.
E la meta, al momento, è chiudere casa domattina, e salire sul taxi.
Il resto, passo dopo passo, verrà da sè e, comunque sarà, sarà il nostro andare.

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giovedì 23 agosto 2007

- 9

La tensione sta salendo. E nello stesso tempo, una sensazione di ineluttabilità del distacco.
I giorni passano e non vediamo l'ora che questa attesa finisca.
Oramai che ci facciamo qui, anziché essere lì? Ci guardiamo intorno, e ci sentiamo già turiste.

Perfino in casa, con il divano e ogni altro piano d'appoggio invaso da abbigliamento, oggetti, documenti, guide da mettere in valigia, ci sembra di essere già "accampate" in una camera d'albergo.
Un modo come un altro per iniziare a separarci dalla vita che finora è stata la nostra.
Abbiamo già salutato i parenti di Bari. Presto saluteremo quelli di Bologna.
Gli amici, sparsi nelle varie città, li abbiamo salutati un po' per volta, senza voler ammettere che si trattava dell'ultimo saluto prima della partenza. Lasciando sempre in sospeso un "magari ci vediamo di nuovo", un "... tanto ci sentiamo ancora", "comunque passo a salutarvi"...

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martedì 24 luglio 2007

L'arrivo del plico

Il 17 luglio, quando mancavano 46 giorni alla partenza, abbiamo

comprato i biglietti!!!
Fino all'ultimo momento abbiamo ritoccato l'itinerario, aggiungendo una tappa in Australia, anticipando di un giorno l'arrivo in Thailandia (per essere già a Bangkok il Giorno dell'Incoronazione, festa nazionale), modificando qualche orario.
Non abbiamo potuto fare biglietti elettronici, come speravamo dall'inizio.
La British Airways ha dovuto emettere biglietti cartacei. Non abbiamo capito bene il perché. Forse una tratta non accettava il biglietto elettronico, o il numero di tratte (19) imponeva, per motivi tecnici, l'emissione di biglietti cartacei.
Peccato! Speravamo di poter conservare nella casella di posta elettronica i biglietti e di stamparli all'occorrenza, invece ci tocca andarcene in giro per il mondo con il nostro nostro carnet di 19 biglietti.
Ad ogni modo, ricevere (dopo 4 giorni di intrepida attesa), toccare e sfogliare questi blocchetti, è stato emozionante.
In questo momento, quando un po' d'inquietudine inizia a sentirsi, questo biglietto, con le sue tratte già fissate, e che all'inizio del progetto ci era parso troppo vincolante, ora sembra l'unica certezza (relativa).

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mercoledì 13 giugno 2007

RTW Tickets

I preparativi procedono. Abbiamo finalmente definito l'itinerario di massima che


trovate qui. Tramite il call center della British Airways, abbiamo prenotato i biglietti.
Il biglietto che abbiamo scelto si chiama Round The World Ticket.
E' un biglietto emesso dall'alleanza OneWorld, costa 2.900 €, consente fino a 20 tratte aeree in quattro continenti (compreso quello di partenza) e pone alcuni vincoli, come l'obbligo di passare da un continente all'altro muovendosi sempre nella stessa direzione, o di consentire arrivi e partenze solo da determinati aeroporti (quelli serviti dalle compagnie aeree che compongono l'alleanza).
Abbiamo dovuto fissare tutte le tratte aeree, e abbiamo lasciato aperte le date degli ultimi mesi. In qualunque momento potremo cambiare le date dei voli, compatibilmente con le disponibilità e senza alcun sovrapprezzo. Cambiare le tratte, invece, avrà un costo di 125$.
Non ci resta che aspettare fino a metà luglio, termine ultimo per l'acquisto e l'emissione di biglietti.
Nel frattempo le cose da fare non mancano... e tra "soli" 80 giorni partiamo...
(ab)

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lunedì 21 maggio 2007

Toubab

Siamo due. (2)
Abbiamo abbastanza anni per poterci definire un po' babbione. (bab)
Partiremo a settembre 2007 per un viaggio lungo 10 mesi. (around)

Vogliamo andare a vedere cosa c'è oltre i paesaggi, umani e naturali, a noi familiari.
Proveremo a raccontare cosa c'è là fuori, o almeno come a noi toubab sembra quello che c'è là fuori.

TOUBAB è come gli africani chiamano i bianchi, gli europei, gli stranieri.
Per questa volta in Africa non andremo, ma attraverseremo molti altri luoghi in cui sentirci straniere.
Ci sentiremo, e di sicuro saremo, un po' Toubab in giro per il mondo.

Toubab siamo noi.

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